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My Life directed by Nicolas Winding Refn, un dietro le quinte rivelatore

Il documentario firmato dalla moglie del regista di Drive diventa una ottima occasione per uno sguardo inusuale sul cinema di oggi

06.03.2015 - Autore: Mattia Pasquini, da New York
Siamo sinceri, se non avessimo saputo che la simpatica Liv Corfixen era la moglie di Nicolas Winding Refn probabilmente il documentario visto al Elinor Bunin Munroe Film Center del Lincoln Center di New York sarebbe passato più sotto silenzio. E se non fosse stato il celebre marito l'oggetto di uno 'studio' così privato, probabilmente la sala sarebbe stata meno gremita di un pubblico attento e anelante rivelazioni sull'uomo che da Bronson alla trilogia di Pusher, e più recentemente con Drive e Solo Dio perdona - Only God Forgives, ha saputo creare un piccolo esercito di fan 'a prescindere'...



Ma non 'per caso', visti gli interessanti - e a tratti divertenti - spunti emersi nel racconto per immagini e nel successivo incontro con i due personaggi; per quanto decisamente attinenti più alla sfera privata della star che alla sua veste creativa e artistica. Riguardo al film, non ci aspettavamo certo il Hearts Of Darkness girato dalla moglie di Francis Ford Coppola, Eleanor, durante le riprese di Apocalypse Now nel sudest asiatico, ma forse il maggior difetto di questo My Life directed by Nicolas Winding Refn è proprio il limitarsi a una osservazione cronologica di un marito ansioso, assente e iperimpegnato durante la realizzazione del suo ultimo Only God Forgives presentato a Cannes lo scorso maggio.

In questo senso, è più un utile e rivelatore dietro le quinte, se vogliamo, che ci mostra un Refn a tratti apatico e concentrato, a tratti aggressivo e sull'orlo della disperazione, fino alle più estreme oscillazioni di umore e giudizi nel finale tra il depresso e lo schizofrenico. Ma lui "è così ogni volta - ci tiene a raccontare a tutti la regista - e questa era l'occasione per vendicarmi e mostrare come sia davvero. Per questo anche la scelta del titolo, sulla quale non erano d'accordo in molti, a partire dal montatore, e che in realtà avrebbe potuto recitare 'comandata' più che 'diretta'…".



Parole forti, emblematiche del doppio registro della coppia, e dell'incontro, costantemente in bilico tra confessione professionale e tenzone privata, soprattutto nei frequenti e taglienti scambi tra i due, che ammettono di aver avuto bisogno della terapia di coppia dopo quel periodo… "Non abbiamo distrutto tutto", "…per ora" e "tua madre è andata a letto con Fritz Lang, è il suo padre biologico", "non è vero, l'ha solo incontrato due volte, ma lui lo dice sempre ai suoi amici!" sono solo due delle perle regalate che rompono la monotonia del montato sullo schermo. Dove, in breve, abbiamo scoperto che in cucina la famiglia Refn tiene un enorme poster di C'era una volta in America di Sergio Leone e che lui è un grande ammiratore dei reality (cosa che gli ha fatto digerire facilmente l'essere il soggetto di un progetto come questo), ma soprattutto che nessuno dei due lo rifarebbe!

Il motivo è evidente nel seguire l'ora di racconto della Corfixen, che ne spiega la nascita… "L'idea mi è venuta a Bangkok, durante una inondazione che ci aveva impedito di uscire di casa. Solo successivamente ho pensato di seguire il work in progress del suo film. Lui non ha avuto scelta". "Mi ha visto nelle mie situazioni peggiori, non avevo niente da nasconderle, d'altronde abbiamo una vita sessuale…" aggiunge giocosamente l'interessato, a lungo sotto l'occhio indiscreto della macchina da presa.



Per sei mesi - di riprese e di vita, sua e della sua famiglia - che Refn definisce "sprecati" all'apice della sua paranoia da insuccesso, dopo la presentazione al Festival di Cannes. E forse è proprio lì che si evidenzia la parte più conflittualre del modus operandi del 'regista di Drive'. "Ogni volta che faccio un film, devo distruggere quello che ho fatto prima. E' una routine normale che mi porta a fare sempre qualcosa di nuovo, a tenermi lontano dalla tranquillità di fare qualcosa di sicuro, ma anche dal rischio di ripetermi. Devo completamente cancellare quello che è venuto prima. L'insicurezza è alta e l'ansia mi assale. E' un processo che amo e odio insieme", spiega il danese, che entra nello psicanalitico: "E' una 'auto tortura', ma per me funziona. E' come ascoltare i Tangerine Dream in loop".

E oggi? A distanza di tempo cosa pensa di Solo Dio perdona? Uno spreco di tempo…? "Continuo a pensare che sia un capolavoro, e dovete farlo anche voi. Altrimenti, cosa lo è?" è la risposta dell'ormai apparentemente inseparabile partner di Ryan Gosling, che vediamo spesso in scena con lui, anche se sempre poco spontaneo… all'apparenza. A conferma del fatto che la sincerità del soggetto resti insieme il pregio migliore del film, nel mostrare paure e debolezze, ma certo anche il suo limite, nel non riuscire a crerne una forma cinematografica sufficientemente strutturata.