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L'ULTIMO BACIO

L'ULTIMO BACIO

Ultimo bacio

04.05.2001 - Autore: Simone Godano
Partiamo dal fatto che questo non sembra un film italiano. Muccino gira con una maestria rara e poco ricercata dalla maggior parte dei registi del nostro paese. La sua macchina da presa è in costante movimento, le inquadrature del film sono pochissime, il ritmo è serratissimo (forse anche troppo), il campo/controcampo (cioè le due inquadrature del Fatto di Enzo Biagi) è abolito. Si usa molto la steady-cam, una macchina che permette una totalità espressiva e di movimenti al regista; offre anche la possibilità di girare una scena con ununica inquadratura, come quella del matrimonio, dove Muccino segue tutti i suoi personaggi che si muovono per una maestosa villa, senza dover ricorrere a nessun taglio di montaggio. Anche gli attori, perfetti nei loro ruoli, sono magistralmente diretti. Anzi, forse questa è la vera forza del film. Raccontare molte storie, seguire spasmodicamente ogni personaggio, magari con una scena di pochi secondi, necessita di un gran direzione degli attori, ma anche di una loro forza nel calarsi nel personaggio, nel trasmettere quelle emozioni necessarie in un film corale come questo. Su tutti la figura madre dei trentenni, la bella signora che ha bisogno di sentirsi ancora giovane e amata, la Sandrelli tanto voluta da Muccino, che si muove nellintreccio regalandoci le emozioni più forti. Ma anche Claudio Santamaria, carismatico come pochi volti del nostro cinema, ancora emozionato in conferenza stampa. Per ultimi quelli che sono i veri protagonisti del film, la coppia Accorsi-Mezzogiorno, perfetti nel rappresentare quellirrequietezza generazionale che è il leitmotiv del film, aiutati dal fatto, come dice lei, di essere una coppia anche nella vita, anche se per sentirsi vivi non è necessario riempire il partner di grandi corna. Perfetti soprattutto nel caricare lo spettatore di emozioni, turbamenti e nervosismi che lo stesso Muccino sente e ci vuole raccontare. Tutti bravi, quindi, gli attori, il regista, il simpatico produttore Domenico Procacci, partner fisso di Muccino, ma anche di Ligabue nel prezioso Radiofreccia, le musiche, la fotografia e la scenografia. Ma al film manca un qualcosa, un qualcosa di nascosto, che sta nelle viscere dello spettatore, illuso o disilluso che sia dallamore eterno. Le due ore scarse, trascorse sulle nuove e morbide poltrone delle multisale, volano via veloci, tra immedesimazioni e complicità, più nitide per gli uomini per il dichiarato punto di vista maschile del film, tra risate e partecipazione. Ma tutto è rinchiuso in una sorta di nervosismo voluto per lo spettatore che facilita la ricezione del messaggio, ma amplifica le ossessioni che turbano il nostro quotidiano. E poi la mancanza di un punto di riferimento per tutti che trasmetta positività e un finale che si distacca dallo stile europeo del film, per precipitare in una chiusura made in Italy sia delle immagini sia del messaggio: la paura di essere felici, narrata in maniera forte e convincente, ma che lascia lamaro in bocca a chi è ancorato alla categoria degli illusi.            
FILM E PERSONE