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L'occhio della madre: Milano odia

Ci addentriamo nel cuore nero dell'exploitation all'italiana, con uno dei massimi traguardi del duo Lenzi-Milian: il noir "Milano odia: la polizia non può sparare"

Milano odia: la polizia non può sparare - Locandina

04.08.2011 - Autore: Marco Triolo
Li amiamo come figli, e li amiamo ancora di più perché tante volte vengono bistrattati. Sono i classici del cinema popolare che tratteremo in questa rubrica, guardandoli con l'affettuoso “Occhio della madre”.

Dopo una lunga pausa torniamo alla nostra rubrica prediletta, “L'occhio della madre”. Quest'oggi puntiamo il nostro acuto sguardo su un classico dell'exploitation italiana, il capolavoro di Umberto LenziMilano odia: la polizia non può sparare”.

Il temibile Giulio Sacchi, alias Tomas Milian

La trama: Il disoccupato Giulio Sacchi ordisce un piano per rapire Marilù Porrino, la figlia di un ricco imprenditore milanese, per il quale lavora la sua amante Ione. Per farlo, chiama in suo aiuto due complici, Vincenzo e il troppo tenero Carmine. Insieme daranno vita a una spirale di violenza agghiacciante, che si concluderà nel peggior modo per tutti.

Henry Silva

Perché è un cult: Perché si tratta del supremo traguardo del duo Lenzi-Milian, e di uno dei più feroci, sanguinari, cupi banditeschi degli anni Settanta. Tomas Milian per una volta smette i panni del borgataro scurrile per indossare quelli di un vero e proprio psicopatico, Giulio Sacchi. Un uomo che non si accontenta del suo umile stipendio e vuole prendersi la rivincita su un'esistenza frustrante. Un uomo che, si scopre a poco a poco, ha ben poco di umano, è “quasi umano”, come recita il titolo americano: non ha scrupoli di coscienza e non ha la benché minima intenzione di risparmiare chiunque si metta tra lui e i cinque milioni del riscatto. Nemmeno i suoi complici (Gino Santercole e Ray Lovelock), che solamente troppo tardi si rendono conto di che razza di folle sia il loro capo. Lenzi gira con uno stile cinetico, grezzo, da capogiro, e infonde al film un ritmo e un'efferatezza mai più replicati nel poliziottesco. Milian si mangia ogni singola inquadratura con la sua malata sbruffonaggine proletaria, mentre “faccia di pietra” Henry Silva gli fa efficacemente da contraltare nei panni di un disilluso commissario di ferro. Menzione d'onore alla colonna sonora di Ennio Morricone, marziale e disturbante.

Ray Lovelock

La scena da non perdere: Giulio e i suoi complici inseguono Marilù in un boschetto, fino a una villa dove la ragazza spera di trovare rifugio. Ma i tre malviventi fanno irruzione e, sotto l'influsso di alcol e droga, costringono gli abitanti, una famiglia della borghesia milanese, a umilianti favori sessuali. Dopo aver per errore ucciso la figlia piccola di una degli ostaggi, Sacchi fa una strage. Una sequenza brutale, che sottolinea la forte connotazione sociale del personaggio di Sacchi.

L'aneddoto: Durante la lavorazione, Milian, attore di metodo, faceva davvero uso di stupefacenti per calarsi meglio nella parte di Sacchi.

La battuta clou: “Preparati Sacchi, per te è finita. Ti condanno a morte per rapimento, violenza e strage” - Commissario Walter Grandi (Henry Silva).

Per saperne di più:
Top Five: A mano armata