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Lo streaming del weekend - Operation Finale, il film sul rapimento di Adolf Eichmann ora su Netflix

Ben Kingsley e Oscar Isaac si confrontano con la Storia

19.10.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
“Era convintissimo di non essere nel fondo dell’anima un individuo sordido e indegno; e quanto alla consapevolezza, disse che sicuramente non si sarebbe sentito la coscienza a posto se non avesse fatto ciò che gli veniva ordinato – trasportare milioni di uomini, donne e bambini verso la morte – con grande zelo e cronometrica precisione”. Adolf Eichmann secondo Hannah Arendt, nel saggio La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. Lui è uno dei responsabili dell’Olocausto, dello sterminio di milioni di ebrei. Gestiva il “traffico ferroviario”, la deportazione verso i campi di concentramento.

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Il suo processo a Gerusalemme, nel 1961, passò alla storia. Fu trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo, fu seguito ovunque. Ma dove si nascose Eichmann tra il 1945 e il 1960? A Buenos Aires, in Argentina. Sfuggito a Norimberga e all’impiccagione cui furono condannati i più importanti gerarchi nazisti, aveva cambiato nome, si era rifatto una vita con la sua famiglia. Operation Finale racconta come gli agenti del Mossad (il servizio segreto israeliano) lo rapirono, per portarlo davanti a un tribunale a Gerusalemme.



Adolf Eichmann ha il volto di Ben Kingsley, e viene descritto come un boia che non riesce a prendere coscienza delle proprie colpe. Lui si reputa un ingranaggio del sistema, un semplice subordinato che ha eseguito degli ordini. Non nega ciò che ha fatto, ma non si sente colpevole.

“Essere idealisti, secondo Eichmann, non voleva dire soltanto credere in un’idea, voleva dire soprattutto vivere per le proprie idee ed essere pronti a sacrificare tutto e, soprattutto, tutti”, spiega ancora la Arendt. Per Eichmann essere “idealisti” significava obbedire in ogni circostanza. Per questo nel film, come nella realtà, lo sterminatore si considera innocente. Si comporta come una vittima, e chiama la spia del Mossad: “Herr Sequestratore”. Non vuole andare in Israele, perché teme che il processo sia a senso unico. Invece vorrebbe far sentire la propria versione dei fatti, una verità diversa da quella che tutti conoscono. L'estremo tentativo di salvare la pelle.



Eichmann infatti si preoccupa per sè, mentre per gli altri non sembra in grado di provare emozioni. In un flashback lo vediamo camminare in un bosco: deve raggiungere un “plotone d’esecuzione”. È già stata scavata la fossa comune, dove decine di ebrei verranno sepolti. Al momento della strage, la sua unica preoccupazione è pulire la divisa dagli schizzi di sangue. Nessuna pietà, nessun rimorso.

Ma sembrerebbe “banale” definirlo un mostro. Eichmann non può essere liquidato con una diagnosi di “infermità mentale”, forse la legge degli uomini non è preparata ad affrontare i suoi crimini, che condizionano anche il futuro, generano altra paura. Lo “007” che lo ha catturato non riesce più ad amare, ha il terrore di mettere al mondo un figlio. Operation finale, anche se con la classica struttura dell’entertainment su piattaforma, ci invita a non dimenticare, perché l’incubo del passato non si ripeta. Il film è disponibile su Netflix.