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Lo streaming del weekend - Anon, su Netflix il thriller futuristico con Amanda Seyfried

Il nuovo film di Andrew Niccol: un omicidio, un mistero da risolvere e la libertà che muore sotto i colpi della tecnologia

Seyfried

03.08.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
E' già disponibile su Netflix da una manciata di mesi, Anon, il thriller fantascientifico di Andrew Niccol che ancora una volta - dopo Gattaca e In Time - esplora il futuro. La privacy è un’utopia. Tutto è schedato, archiviato, raggiungibile. I ricordi sono merce di scambio, i sentimenti hanno lasciato il posto alle immagini. Una “megarete” rende tutti interconnessi, ogni giorno, ogni ora. Lo sguardo si è trasformato in uno strumento per carpire informazioni, per indagare l’identità dell’altro. Nome, età, professione, interessi: niente è un mistero. Il computer è diventato la nostra mente, non bisogna neanche più usare il mouse. Questo è il futuro secondo Niccol, un luogo dove non esiste più libertà, dove chi si nasconde è un criminale.

L’oblio non è concesso, gli errori di ognuno sono accessibili all’intera popolazione. Ma forse non è una follia fantascientifica, rappresenta solo un’amplificazione della realtà di questi anni. Schermi ovunque, cellulari sempre a portata di mano, social attivi h24. Il regista mette in scena la nostra epoca, mascherandola da avvenire ipertecnologico. Internet è già dentro di noi, video e fotografie sono un flusso continuo da cui non si può prescindere, in una dipendenza 2.0 giustificata dai più.



Le emozioni hanno assunto un fascino vintage, si sorride solo nel web, mai nel reale. Per questo in Anon i protagonisti sono atoni, perché non vogliono lasciar trasparire la loro personalità. In un certo senso si nascondono dal Grande Fratello, dalle telecamere che ormai passano attraverso le pupille. Il mondo è freddo e, anche se c’è il sole, le atmosfere sono cupe, da temporale, come se piovesse sul cuore e non per strada. È tutto un gioco di percezioni, di speranze celate e desideri repressi.

Guardarsi indietro è fin troppo facile, la memoria scorre come se fosse un film semplicemente da selezionare su una piattaforma. Play. Si rivive il matrimonio con la prima moglie. Play. Si torna a correre sulla spiaggia con il proprio bambino. Ma quello che non si può controllare è il tempo. Quello non torna più, come ci aveva già spiegato Niccol in In Time, dove i minuti erano una merce di scambio. La valuta con cui fare acquisti erano le ore, e i ricchi avevano migliaia di anni in cassaforte.



Inutile scappare, l’unica soluzione è omologarsi, far finta di essere perfetti per gli standard della società, come faceva Ethan Hawke in Gattaca. E così Niccol sperimenta, cerca di far ragionare sul presente dipingendo orizzonti non troppo lontani. Cambia i formati dell’immagine, passa dalla visuale in prima persona a quella in terza, dal videogioco al cinema. Elimina le tastiere e i monitor per renderli parte del nostro essere. Non più umani, ma androidi, che corrono pericolosamente verso Blade Runner.

La storia passa in secondo piano, i toni da thriller fin troppo usurati sono solo un pretesto. Ciò che conta è l’universo che ci circonda, in cui l’umanità sembra volersi perdere per fuggire dai problemi di tutti i giorni. Così il personaggio dell’hacker Anon non è più un reietto ma, camminando nell’ombra, è l’unico che prende l’esistenza di petto, nel suo anticonformismo quotidiano. Poco importa se il finale rischia di rovinare l’intero affresco, perché Niccol provoca con intelligenza e, nell’imperfezione, trova la bellezza.