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L'amore che resta - La nostra recensione

Delude Gus Van Sant con la sua storia d'amore cupa, prodotta da Ron Howard

L'amore che resta - Mia Wasikowska Henry Hopper

04.10.2011 - Autore: Pierpaolo Festa
La morte è facile, è l’amore ad essere difficile” oppure “Abbiamo così poco tempo per dire le cose che vogliamo dire. Abbiamo pochissimo tempo per tutto”… con queste frasi confezionate, Gus Van Sant dice la sua su eros e thanatos.

Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 64, “L'amore che resta” conferma comunque il talento del regista nel descrivere pensieri e sentimenti dei più giovani ed è l’ennesima prova che il filmmaker riesce con il suo stile unico a invadere di tenerezza temi seri e cupi, senza mai affogare nel miele. 

Mia Wasikowska e Henry Hopper in L'amore che resta

Nel fare questo il regista viene aiutato da una coppia di attori composta da Mia Wasikowska (era l’Alice di Tim Burton) e Henry Hopper (il figlio del grande Dennis) in un romance che combina l’ironia nera alla “Six Feet Under” (con i protagonisti che si imbucano ai funerali), con tutti quei film romantici dove gli innamorati sono anche dei malcapitati…“Oh fortuna infame” direbbe il grande bardo. Non ci si impiega più di tanto, però, per capire che ci troviamo davanti a uno di quei film in cui “lui le insegnò ad amare, lei gli insegnò a vivere”.

Van Sant dirige Henry Hopper sul set de L'amore che resta

Questo è il vero problema: “L'amore che resta” fallisce nello sviluppo della storia, quasi fosse una specie di "Autumn in New York" diretto da Van Sant. Rimane, dunque, uno dei suoi film minori, dal momento che il regista a tratti perde anche il senso del ritmo, accartocciandosi su una storia che conosciamo già.

La pellicola, in uscita il 7 ottobre, è distribuita dalla Warner Bros.

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