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Jake Gyllenhaal è Stronger, l'altra faccia dell'attentato di Boston - La recensione

David Gordon Green ci riporta alla Maratona del 2013, per approfondire le conseguenze di quel dramma.

31.10.2017 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
L'attentato alla maratona di Boston del 2013 è uno di quegli argomenti ai quali il pubblico - soprattutto quello statunitense - ha dimostrato di non saper resistere, nonostante sia stato già trattato di recente nel Boston - Caccia all'uomo di Peter Berg. Un compito facile, e impegnativo insieme, per David Gordon Green, ormai lontano dai tempi di Strafumati o Lo spaventapassere, che avanza nel percorso intrapreso con Joe e Manglehorn 'sfruttando' l'intensità e il talento di Jake Gyllenhaal (appena incontrato alla Festa di Roma). Immediatamente inserito tra i contendenti al prossimo Oscar per il suo Jeff Bauman, il ventottenne di Boston che perse le gambe nell'esplosione e al cui libro autobiografico si ispira Stronger.



Molti meriti, della riuscita del film e dell'ottima performance del suo compagno, vanno però dati alla Tatiana Maslany di Orphan Black, una sorpresa che potremmo ritrovare sullo stesso palco del Dolby Theatre di Los Angeles il 4 marzo. E che, nei panni della fidanzata di Bauman, Erin Hurley, si offre come cardine e sostegno di una vicenda che rischia di sbandare molto spesso. Ma che indubbiamente raggiunge il suo obiettivo. Facile commozione e retorica a stelle e strisce comprese. Certo, non solo quelle, ma è inevitabile - volendo raccontare una storia come questa - che ne siano parte integrante.

Boston Strong (come da titolo del libro di Casey Sherman e Dave Wedge) d'altronde nasce da lì, dal bisogno della Nazione di ritrovarsi, di sentirsi unita e più forte del nemico di turno. L'ennesimo. Ma i nemici sono diversi, ché ognuno ha i suoi, persino tra le mura di casa. Come sono anche nella difficoltà della madre e dell'intero onnipresente clan familiare, per esempio, troppo 'typical' per comprendere immediatamente la reale situazione, il trauma, la portata di un evento che trascende l'occasione mediatica proprio ripiegandosi su se stesso, concentrandosi sul particolare, del protagonista e delle tante persone comuni spaventate e sole.

C'è tanta umanità, una quantità difficile da gestire. Soprattutto senza scivolare. Senza perdere l'equilibrio, o la giusta distanza, quando necessario. Come ogni tanto capita, purtroppo. Ma con l'aumentare dei temi e l'approfondimento del personaggio e delle sue relazioni col mondo, si finisce con il riflettere sulla depressione e la sindrome post-traumatica da stress, disturbi ben più distruttivi e autolesionisti che piano prendono il sopravvento, anche nella narrazione. Per fortuna di un film che, cercando di restare sempre corretto o di 'denunciare' gli errori più comuni nei confronti della disabilità finisce per mostrarci una serie di figure sconfitte dalla vita, di esempi edificanti o scene commoventi piuttosto 'al limite'.



In generale si avverte un eccesso di messa in scena, ché bastava davvero meno per essere 'inspirational'; e forse Green in questo senso non dà il meglio, non quanto l'ensemble dei suoi attori almeno. Compresa la stessa Boston, e lo storico Fenway Park del finale. Ma l'onestà non manca, ed è evidente; anche se tra elaborazione, senso di colpa e rifiuto (che non può non far pensare alla lettura di Ang Lee del giorno da eroe di Billy Lynn) sono molti i momenti meritevoli, e i dettagli, anche non sempre immediati da cogliere, che ne fanno un film da consigliare.


Stronger, in sala da febbraio 2018, è distribuito da Leone Film Group e 01 Distribution.