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Franny - La nostra recensione

Un altro ruolo 'borderline' per Richard Gere, protagonista colpevole e dolente di una storia ricca di segreti.

22.12.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Ai Festival di New York e Roma del 2014 Richard Gere aveva presentato Time Out of Mind, per il quale si era aggirato a lungo per le strade della città statunitense durante le riprese che lo avevano trasformato in 'invisibile', non coglie di sorpresa quindi ritrovarlo oggi in un altro ruolo 'ai margini' nei panni di Franny, filantropo in fuga dal proprio passato, nel film che da questi prende il nome.

Di nuovo un professionista maturo, elegante e solo, del quale intuiamo una vita ricca di persone e di occasioni, ma che seguiamo nel suo graduale confrontarsi con quello che è diventato, soprattutto a partire da un evento traumatico. In questo caso la morte dei suoi amici carissimi, avvenuta - il film ci condiziona e spinge a pensarlo - per sua responsabilità.



Nessun 'Segreto' (come inizialmente sembrava dovesse chiamarsi il film in Italia), in realtà, se non quello che lo stesso Franny continua a conservare con se stesso, di esser diventato di fatto dipendente dalle medicine e dagli antidolorifici prescrittigli a partire dall'incidente e per i cinque anni successivi.

I nodi vengono al pettine, però, quando la figlia della coppia torna a casa, a Filadelfia, scatenando sensi di colpa e desiderio di espiazione, ma anche facendo crollare la facciata tanto faticosamente tenuta in piedi. In questo senso, senza nulla togliere alla bravura e alla presenza scenica di Gere, molto interessante è l'accenno al rapporto degli statunitensi con l'assistenza sanitaria e farmacologica nello scontro con il proprio medico curante, evidentemente di manica larga nella concessione di droghe e linimenti salvo poi lavarsi le mani delle conseguenze alla prima modifica normativa…



Purtroppo rimane un accenno, che non allontana il film da un percorso piuttosto scontato, per quanto coerente. L'esordiente Andrew Renzi continua a puntare sugli attori, comprensibilmente, ma senza riuscire ad evitare loro di finire troppo spesso sopra le righe, anche per l'obbligo a caricare di pathos ogni scena. La discesa agli inferi così resta nelle intenzioni e negli sprazzi di bravura del protagonista principale, poco supportato dagli encomiabili ma non abbastanza convincenti Dakota Fanning (Olivia) e Theo James (il marito, Luke, protagonista di una terribile 'Night Out' con Gere che avremmo preferito gestita con più sottrazioni). Lasciando a noi l'impressione di aver mal gestito un personaggio e un background che si potevano approfondire meglio, magari senza insistere tanto su ridondanti flashback del dramma vissuto.


Franny, in sala dal 23 dicembre, è distribuito in Italia da Lucky Red