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Il mistero di Donald C. la recensione del dramma in barca con Colin Firth

L'attore è un naufrago nel film diretto da James Marsh

05.04.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Storie di naufragi e lupi di mare, di marinai d’acqua dolce che abbandonano porti sicuri per sfidare oceani tempestosi. “Volete vivere tutta la vita all’ombra degli altri?”, domanda un venditore in una fiera. E Donald Crowhurst non vuole un’esistenza ordinaria. L’ambizione lo divora, lo spinge verso un’impresa che ha dell’incredibile, almeno nel mondo reale: circumnavigare il globo in barca a vela. Il progetto farebbe impallidire il più temerario degli avventurieri, ma non chi, con una sana dose d’incoscienza, pensa di poter raggiungere l’impossibile. 


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Se Il mistero di Donald C. (terribile adattamento dal ben più evocativo titolo inglese The Mercy) fosse un film sportivo, lo spettatore vedrebbe il suo protagonista procedere col vento in poppa e il successo davanti. Il lieto fine sarebbe assicurato e il campione tornerebbe a casa tra scroscianti applausi. Ma la realtà stronca i sogni e li trasforma in illusioni. Crowhurst rappresenta un’Inghilterra che non poteva più andare avanti solo col suo punto di vista, che doveva aprirsi a nuove soluzioni. Era il 1968, l’anno delle rivolte studentesche, delle manifestazioni nel centro di Londra contro la guerra del Vietnam. I capelli si allungavano, la musica diventava più veloce. 

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Ma i fermenti culturali non interessano al regista James Marsh, da sempre amante dell’eroismo dell’uomo comune. Con il documentario Man on Wire raccontò la vicenda di Philippe Petit, un funambolo che aveva camminato su un cavo metallico steso tra le Torri Gemelle (poi ripreso da Zemeckis in The Walk). In La teoria del tutto, Marsh guardava le stelle con gli occhi di Stephen Hawking, indimenticabile astrofisico malato di SLA e costretto su una sedia a rotelle fin dalla gioventù. È come se il regista volesse suggerirci che gli ostacoli sono solo nella mente e con la giusta determinazione niente è irrealizzabile. Ma con Il mistero di Donald C torna sui suoi passi, per portare sul grande schermo la sconfitta, la cronaca di un “perdente” che non ha saputo accettare i suoi limiti, spinto dalla società capitalista e dalla smania di essere ricordato nei secoli a venire. 


Poteva essere un’epopea avvincente, con tanto di crisi di coscienza aggiunta, ma purtroppo la macchina da presa non guarda nell’oscurità dell’abisso, e si accontenta del biopic lineare, senza scossoni, che esaurisce la sua carica emotiva nella prima parte. I preparativi, l’emozione del viaggio, i saluti, le lacrime, poi tutto si spegne. Non c’è la determinazione di Robert Redford in All Is Lost o l’stinto di sopravvivenza di George Clooney e compagni ne La tempesta perfetta. Qui l’onda da domare è quella della menzogna, dell’incapacità di accettare se stessi. Difficile mantenere alta l’attenzione, mentre i flashback non danno tregua e il sole continua a splendere. A evitare il naufragio sono Colin Firth e Rachel Weisz, che puntano su un’interpretazione intensa, mentre l’esperto di turno cerca di spiegare alla platea che cosa sia un trimarano. A chi scrive, piace pensare che il giro del mondo in sei mesi di Crowhurst debba ancora iniziare.

Il mistero di Donald C. è distribuito nei cinema da Adler Entertainment