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Il drago invisibile - La nostra recensione

Il remake della Disney ci ripresenta l'adorabile Elliot, stavolta in una versione piu' cupa e dalle pretese più adulte

21.08.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Innegabilmente non sono tempi di film musicali o favolette per un pubblico di preadolescenti, alla Disney lo sapevano bene quando hanno deciso di rimaneggiare tanto l'Elliot classico (e NON 'Classico') del 1977 per trasformarlo nel remake diretto da David Lowery, Il drago invisibile. Personaggi come il Dr. Terminus e Gnocco, macchiette e gag varie e situazioni ridicole sicuramente non si addicono a generazioni abituate ai draghi di Game of Thrones, né a una produzione che punta probabilmente su quella fascinazione (moda?) per portare in sala un prodotto in grado di ammiccare a giovani e meno giovani, ma la perdita di identità e di magia che si registra in questo nuovo capitolo del new deal Disney è notevole.



Le ali rosa del cartoonistico protagonista del film originale lo identificano ancora oggi come un prodotto per una fascia di pubblico troppo bassa forse per ragionare sulla cattiveria dell'essere umano nei confronti della natura e degli animali o per riconoscere come realistico il ruolo di 'comando' di Peter e Grace (di certo piu' dei vari Robert Redford, Bryce Dallas Howard, Wes Bentley e compagnia). Del panciuto e meno imponente drago di allora si è voluta esaltare la vera natura, facendone una creatura libera e meno addomesticata (per quanto l'eccesso di buonismo finale contraddica lo sviluppo precedente e certe scelte visive). Non a caso affiancandogli un 'bambino selvaggio' invece di un semplice orfanello dickensiano. Interessante semmai che il conservare nel racconto la giustificazione della 'necessità' di avere un più o meno tipico amico immaginario.

Uno dei pochi elementi che ritroviamo dell'Elliot del 1977 (insieme alla divertente citazione del maxi starnuto), più della ricostituzione di una parvenza di nucleo familiare intorno al giovanissimo eroe di allora, e di oggi, dove la composizione di un quadretto fin troppo tradizionale avviene senza pathos e in maniera piuttosto fredda. Magari per sottolineare i momenti commoventi legati al drago 'abbandonato' e cercando l'empatia del pubblico su temi ormai classici per il genere, come l'accettazione del diverso e il rispetto per l'altro, quale che sia.



Precetti che sembrano non attecchire fuori dalla sala, e anche sullo schermo, visto che spesso gli stessi bambini finiscono per dimenticare certi spunti encomiabili e seguire la 'way of life' paterna, solo per trovarsi a scegliere se votare Donald o Hillary. Anche per questo la nostalgia di una pedagogia cinematografica - sicuramente datata - emerge nella conferma di una carenza di attenzione per certi piccoli spettatori. A meno che non sia la nostalgia di una epoca nella quale non sembrava si dovesse passare da Alvin a Super 8.

Sarà facile, comunque, innamorarsi di questo enorme paladino dei boschi, di questa espressione della Natura, anche senza farsi conquistare dai rimandi alla buffa simpatia di Shrek o alla drammatica odissea del leggendario Kong o Godzilla. Meno facile, semmai, accettare certe scelte di sceneggiatura - soprattutto nel finale, probabilmente consolatorie - e trovare risposta agli interrogativi che lasciano aperti. Con la certezza, ancora una volta, di essere in balia di un mercato schiavo dell'happy end e che continua ad avere problemi con l'accettazione di una separazione definitiva (sia un addio, un lutto, una rinuncia) o ad essere incapace di inserirla tra gli abituali 'insegnamenti'.


Il drago invisibile, in sala dal 10 agosto 2016, è distribuito da The Walt Disney Company Italia