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Gotham – La recensione del pilot

Esordisce la serie prequel di Batman con un pilot ben confezionato. Ma l'assenza del supereroe si fa sentire

Gotham

23.09.2014 - Autore: Marco Triolo
Quando è stata annunciata la serie TV Gotham, un dubbio ha assalito gli spettatori: “Come si può realizzare una serie su Gotham City senza Batman?”. Un dubbio lecito, soprattutto visto l'impegno produttivo profuso. Con tutti quei soldi e quel talento a disposizione e la volontà di realizzare una serie ben più adulta di Arrow, sembrava uno spreco bello e buono che Warner/DC avessero optato per un prequel senza la star principale.
 
Purtroppo quella sensazione è totalmente confermata nel pilot di Gotham, diretto da Danny Cannon (Dredd – La legge sono io, CSI, Nikita) e scritto da Bruno Heller, creatore di The Mentalist e Roma. Al production value decisamente alto – fotografia digitale corposa e contrastata, set e location da blockbuster – si contrappone una scrittura zoppicante. La trama dell'episodio, incentrata sulle indagini intorno all'omicidio dei coniugi Wayne, ha sviluppi da banale giallo televisivo con tocchi da procedural di bassa lega. E il tutto è appesantito da un sovraccarico di riferimenti più o meno nascosti, indirizzati solamente ai fan della saga a fumetti di Batman.

Ben McKenzie e David Mazouz, nei panni del giovanissimo Bruce Wayne.
 
C'è insomma una vera e propria “sindrome da prequel”, quella malaugurata volontà di inserire quanti più easter egg e personaggi possibili in appena cinquanta minuti. Intorno al giovane Jim Gordon e al suo collega Harvey Bullock si avvicendano: il piccolo Bruce Wayne, il maggiordomo Alfred, Oswald Cobblepot (ovvero il Pinguino), Edward Nygma (l'Enigmista, qui un agente della scientifica), Selina Kyle (futura Catwoman) e persino la piccola Poison Ivy (il cameo in assoluto più forzato). Alcuni personaggi sono anche resi in maniera interessante: Alfred (Sean Pertwee) non è il solito maggiordomo inglese compito, ma una vera guardia del corpo dall'aria minacciosa. Bruce (David Mazouz) dimostra già una maturità ben oltre i suoi anni. Cobblepot è interpretato con viscida empatia dal semi-sconosciuto Robin Taylor. I restanti non hanno abbastanza spazio per lasciare il segno e scadono nel più bieco dei fan service. Risulta anche difficile digerire il fatto che più o meno tutti i comprimari di Batman si siano incontrati per caso prima dell'avvento del supereroe (“sindrome da prequel”, si diceva).
 
Le potenzialità non mancano: il Jim Gordon di Ben McKenzie è insolito, e per questo intrigante. Anziché l'uomo pacato a cui siamo stati abituati sin dai fumetti, ci troviamo di fronte un veterano di guerra con piglio militare, intenzionato a ripulire la città (e il dipartimento di polizia) usando le maniere forti, se necessario. A colpire nel segno è anche il Bullock di Donal Logue, poliziotto corrotto che vede il suo status quo messo sottosopra dall'arrivo di un partner che non riesce a odiare, nonostante la sua ferrea volontà di non farsi corrompere. Nel loro rapporto buddy cop sta il potenziale maggiore della serie.

Camren Bicondova è Selina Kyle.
 
Ottime anche le scenografie e i costumi, che incassano la lezione del Batman di Tim Burton, mescolando le carte per creare un'ambientazione anacronistica, tra gli anni Trenta e Settanta, con sprazzi di modernità. Niente cellulari, tablet o altre diavolerie: solo il lerciume della strada e il contrasto netto tra alta società e miseria.
 
Eppure, nonostante i lati positivi, l'assenza di Batman a lungo andare potrebbe risultare più frustrante di quella di Superman in Smallville, dove almeno avevamo un Clark Kent giovane adulto. Se Gotham fosse solo una miniserie, non sarebbe un problema. Ma un'intera serie rischia di stancare molto presto.