NOTIZIE

Ghost Stories, tensione e divertimento nell'horror con Martin Freeman (Recensione)

Un film intelligente che è un atto d'amore verso i classici dell'horror

18.04.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
L’orrore si nasconde dietro le porte chiuse, nell’oscurità della notte. A scatenare la paura è l’ignoto, le foreste immerse nel buio che racchiudono terribili segreti. Gli incubi sono frutto della mente, di tutto ciò che sfugge al controllo della realtà. In fondo la cronaca è tristemente piena di assassini. Ma quando la minaccia è fantasma? Cambiano le regole del gioco. È qualcosa che non sappiamo dominare e scava nel profondo. “I mostri sono frutto dell’immaginario”, spiega in Ghost Stories un professore di un altro tempo. Sono il riflesso di quello che non vorremmo mai incontrare.

Guarda anche: Ghost Stories, i venti migliori film di fantasmi di sempre


 
Ancora una volta il campo di battaglia è il quotidiano, i luoghi che dovrebbero proteggere invece di spaventare: il salotto, la stanza da letto, per poi sprofondare nelle cantine abbandonate e nel subconscio. Il ritmo è mozzafiato, la tensione va alle stelle, anche se non ci sono sequenze iconiche come in Poltergeist – Demoniache presenze di Tobe Hooper, con gli spiriti che ipnotizzavano le loro vittime attraverso la televisione. A firmare il soggetto c’era un certo Steven Spielberg, in quel caso maestro del brivido. In Ghost Stories ritroviamo l’ironia, qualche sorriso, mentre la suspense è un continuo crescendo. Il film nasce da una pièce teatrale di Jeremy Dyson e Andy Nyman (qui registi e sceneggiatori) che giocano con i classici del genere per costruire un atto d’amore verso gli horror della Ealing e quelli rivolti a un pubblico più ampio della Hammer, senza dimenticare la Amicus.
 
Il terrore arriva dall’Inghilterra, come in Incubi notturni di Basil Dearden, Alberto Cavalcanti, Robert Hamer e Charles Crichton. Era un film a episodi, una fusione tra generi, che cercava di ritrovare l’identità inglese per una nazione che era appena uscita dalla guerra. Anche nel 2018 ritroviamo l’individualismo targato Londra, che ormai si è evoluto. All’epoca si voleva creare un fronte comune contro il male, oggi si preferisce stare lontani, abbandonare le alleanze per risolvere i problemi in proprio. Con Ghost Stories si può vedere l’evoluzione di un Paese, come cambia il pensiero comune nel corso dei decenni. Le collaborazioni si sfaldano, le certezze crollano. Chi rifiuta l’esistenza di un’altra dimensione sarà messo a dura prova. 


 
Gli errori commessi in passato tornano con forme bestiali, perché alle proprie colpe non si può sfuggire. Le porte scricchiolano, il pavimento trema, le urla si inseguono. L’impostazione da palcoscenico potrebbe rovinare la finzione, ma i registi alternano le vicende con abilità, dando spazio a una sorta di mockumentary nella parte iniziale. Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti alla costruzione classica degli episodi, ma il finale è folgorante, quasi un epilogo surreale. Brividi. Non sveleremo altro. La morte è una presenza incombente, che corre nel bosco come ne La casa, quando i ragazzi dovevano ancora raggiungere lo chalet nella foresta. Allora, come adesso, gli scheletri uscivano dagli armadi per prendersi la loro rivincita.   

Ghost Stories, in uscita il 19 aprile, è distribuito da Adler Entertainment. 
 
FILM E PERSONE