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Dove non ho mai abitato, recensione: il mélo di Paolo Franchi indeciso tra modernità e passatismo

Eroine tragiche ed altre più progressiste, atmosfera retró ma ambizioni da racconto sociologico. Qualcosa non funziona

Dove non ho mai abitato

Dove non ho mai abitato

12.10.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Dove non ho mai abitato è un mélo retró che ha l’ambizione di raccontare l'educazione sentimentale  della borghesia franco-torinese. Le nevrosi, le isterie, il tradizionale conflitto tra cuore e ragione e le debolezze del ceto alto borghese sono ricostruiti da una parte con grande realismo sociologico, dall’altra attraverso una prospettiva che appare fuori dal tempo. 
 
È un film che per certi versi racconta una realtà separata che non sempre trova punti di contatto con la sensibilità di chi è chiamato a giudicarlo. Sarà un fatto puramente anagrafico ma chi scrive per esempio è diviso dal film dalla credenza, forse in parte illusoria, che oggi esista una generazione di 20, 30, 40, 50enni che vive le relazioni amorose in maniera leggermente meno disillusa di quanto fanno invece i protagonisti di questo melodramma vintage. Soprattutto ciò che stride è l’immagine datata di una borghesia che è radicalmente cambiata rispetto al passato fino a rendere superata una rappresentazione che la vede ancora solida nella propria capacità di rinchiudersi tra gli agi con indifferenza e irresponsabilità nei confronti della propria felicità. Con la grande crisi del ceto medio, la sensazione è che certi privilegi non possa più permetterseli. 
 
Il film ha al centro il personaggio di una donna italo-francese Francesca (Emmanuelle Devos), algida nel suo essere un po’ snob e un po’ nevrotica in un modo che ricorda pericolosamente i tanti ruoli interpretati al cinema da Valeria Bruni Tedeschi. Una donna che è prima succube del genio del padre e della madre, poi di un matrimonio senza sesso al quale rimane comunque legata per ragioni (sembra) di opportunismo. Insomma, un personaggio che si comporta come se lì fuori ci fosse un mondo del secolo scorso pronto a divorarla viva se solo decide di militare nella società in assenza di una presenza maschile o di godersi i brividi del piacere sessuale. Tra l’altro non le mancano nemmeno i mezzi economici per emanciparsi. Evviva la modernità.
 
Dall’altra c’è la libertà estrema del Massimo di Fabrizio Gifuni, un uomo che non riesce a legarsi a nessuna donna in pianta stabile e che ha fatto del seguire la pulsione dell'eros la sua arte principale. I due si incontreranno a Torino scoprendo una, la forza del sesso senza impegno, l’altro la bellezza di poter contare su qualcuno. Alla fine il personaggio di Francesca deciderà di comportarsi come un’eroina tragica dal destino segnato più che come un’icona moderna. Così i due sfasceranno cose e persone senza prendersi nessuna responsabilità, come del resto fanno i ricchi ben raccontati da Francis Scott Fitzgerald in Il grande Gatsby: “(...) sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine”. La domanda, – lasciando da parte per un attimo il dubbio sul realismo dei personaggi principali – rimane. Quanto è coerente la scelta di confezionare una storia con spunti a tratti progressisti – come avviene benissimo per il cinismo del personaggio di Isabella Briganti - all’interno di una dominante cornice da melodramma degli anni ’60?

Meglio allora fare un film dichiaramente in costume. Viene così da mettere in dubbio la saldezza narrativa, che sfugge continuamente senza grande coesione ideologica. Se non altro, è un'opera che fa arrabbiare. Guardare il mondo di Dove non ho mai abitato è però in qualche modo osservarlo come fosse racchiuso in una bolla di Natale, in uno scatto da cartolina usurata. Un'immagine ferma, lontana, distante, anche se ammaliante. 
 
Dove non ho mai abitato, in uscita il 12 ottobre, è distribuito da Lucky Red.