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Doppio amore, la recensione del thriller di François Ozon

Il nuovo film del regista francese ha il coraggio di osare, virtuosismi inclusi

19.04.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Il desiderio nasce dallo sguardo, sembra suggerirci François Ozon. Nella prima sequenza di Doppio amore, la forma del sesso femminile si trasforma in un occhio, in una sorta di aggiornamento del surrealismo di Buñuel e Dalì (Un cane andaluso). Si tratta di una semplice visita medica, che già lascia intuire l’importanza del corpo, la passione che si manifesta tra medico e paziente. La psicologia è solo il punto di partenza, per poi lanciarsi in un thriller torbido, volutamente sopra le righe, costruito per respingere invece di attrarre. 



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L’amore non si controlla. Può diventare oggetto di studio come in A Dangerous Method di Cronenberg, ma rimane sempre selvaggio, incomprensibile. È la sessualità a scandire la giornata della protagonista, alla ricerca del piacere e di un equilibrio nella quotidianità. Come sempre al centro del cinema di Ozon c’è la donna, con le sue forme, i sentimenti e la mercificazione della società moderna, incarnata da Marine Vacth in Giovane e bella del 2013, discesa agli inferi di un’adolescente che vuole vendersi sul web. Anche qui Vacth interpreta una ragazza tormentata: vuole dominare con uno spirito fragile, cerca di sedurre invece di parlare dei propri problemi. Si rifugia nelle fantasie più nascoste, nel sogno erotico di poter prendere il posto degli uomini anche sotto le coperte. Sesso è potere, come recitava il titolo di un film con Demi Moore e Michael Douglas. E anche in Doppio amore è uno strumento di prevaricazione, in stile Gocce d’acqua su pietre roventi, dello stesso regista francese. 
 
Dimenticate il tema della perdita dell’altro (Sotto la sabbia), qui il dolore passa attraverso il calore, non la solitudine. Il godimento è solo un palliativo, mentre anche l’essere umano non si sente più unico al mondo. Ozon gioca con il doppio, con i gemelli, che si riflettono negli specchi, e si fatica a comprendere se sono reali o frutto della nostra immaginazione. De Palma, Hitchcock, Ozon cita i grandi maestri, si spinge oltre il limite con una macchina da presa che riprende il sangue e l’intimità. Non ha paura di mostrare, divorando ogni singolo dettaglio. Scale a chiocciola ovunque, spazi aperti che opprimono, Inseparabili di Cronenberg sullo sfondo, e poi Marine Vacth costruita a immagine di Mia Farrow in Rosemary’s Baby, con i capelli corti e la pancia che cresce. Anche questo sarà figlio del demonio? Difficile rispondere. 


Il male si aggira per le strade come nella nostra testa. Il terrore viene dall’altro, da chiunque possa far soffrire e in qualche modo rappresenti le nostre pulsioni più segrete. L’ossessione è quella di poter trovare qualcuno su cui riversare le angosce, per poi ricominciare come se nulla fosse successo. Non importa se a volte l’impostazione può sembrare da spot pubblicitario e i virtuosismi non smettono di inseguirsi, dallo split screen alle immagini sfocate. Doppio amore (che dal titolo potrebbe anche sembrare frutto del genio di Douglas Sirk) ha il pregio di osare, di essere il riflesso di un cinema scomodo che non tutti vorrebbero affrontare.

Doppio amore è distribuito nei cinema da Academy Two.