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Crazy Heart - La nostra recensione

Jeff Bridges vuole un Oscar e lo dimostra con il malinconico ritratto di un cantante country sul viale del tramonto.

Crazy Heart - Jeff Bridges

06.03.2010 - Autore: Ludovica Sanfelice
Per i fan del caro Lebowsky è naturalmente suggestivo assistere all’ingresso di Jeff Bridges in una sala da bowling. Spinge a chiudere gli occhi per un momento per smaltire il piacere quasi disgustoso che dà ritrovare il vecchio Drugo. Lo sa Bridges e lo sa il regista che non si lascia sfuggire l’opportunità di fare questo piccolo regalo al pubblico prima di cominciare a raccontare la sua storia. Anzi la storia di Bad Blake, ex stella del country ridotta ad attraversare pigramente il paese in una sottospecie disperata di tournè, mentre si strangola di pessimo whisky, collassa dietro il palco e poi va a letto con grupies brutte e avvizzite in terribili motel. La musica non basta più per curare le ferite di quattro matrimoni falliti, un figlio di cui quasi non ricorda il nome, la solitudine e l’oblio.

Jeff Bridges e Maggie Gyllenhaal in Crazy Heart

La storia però non ha molto altro da offrire. Secondo la meravigliosa logica del sogno americano per tutti c’è una seconda possibilità e quella di Bad Blake arriva insieme a una bellissima giornalista che lo vuole intervistare e poi lo vuole amare, ma prima lo vuole disintossicare. Un percorso di redenzione che abbiamo visto spesso e l’ultima volta solo pochi mesi fa con Mickey Rourke ("The Wrestler").

Jeff Bridges e Robert Duvall in Crazy Heart

Questa però non è una stroncatura. Non a tutti gli effetti almeno, perché la scarsa originalità della trama non dovrebbe scoraggiare la visione diCrazy Heart che, liquidato il problema della difficile gestione di una sceneggiatura complessa e ricca di sorprese o sottotesti, lascia la mano libera per disegnare altre cose. Cose belle come certi personaggi, l’interpretazione e la musica. Jeff Bridges consegna l’anima e un corpo appesantito e trascurato a questo Bad Blake cucito su di lui che nelle malinconiche performance ci mette anche la voce sporca di fumo e di alcol e tiene sulle spalle, nei solchi della faccia e nelle dita l’intera pellicola scatenando una naturale simpatia. La mimesi dell’attore è completa e rende difficile distinguerlo dal suo personaggio. Se questa sintesi può frenare un po’ l’esplorazione, Bridges compensa il rischio di non recitare assecondando personalmente le emozioni senza fare economia e ciò rende in ogni istante più concreta la possibilità che arrivi finalmente il riconoscimento dell’Academy.

Jeff Bridges e Maggie Gyllenhaal in Crazy Heart

Maggie Gyllenhaal (candidata all’Oscar come non protagonista) è forse addirittura brava più di lui anche perché risolleva con umanità, femminilità e carisma un personaggio (quello della madre single che ha collezionato fidanzati falliti e dannosi ma vorrebbe tanto ricredersi) un po’ lagnoso, e vagamente disfattista. Piccole ma preziose anche le incursioni di Colin Farrell e Robert Duvall, soprattutto quelle di quest’ultimo.
La colonna sonora infine, creata appositamente da T-Bone Burnett insieme al cantautore texano recentemente scomparso, Stephen Bruton, conquista con le sue ballate intrise di cultura folk.

Jeff Bridges in uno dei poster americani del film

Il regista Scott Cooper, al suo primo lungometraggio, insomma non tradisce intenti da grande autore e getta un po’ via l’occasione di girare un vero affresco country (la musica c’era eccome) per rassegnarsi a certi clichè di un road movie che sulle highways costruisce un percorso dritto di redenzione. Un modo per sottovalutarsi visto che nella sua semplice concretezza dimostra anche di saper gestire molto bene sentimenti e attori.

"Crazy Heart" esce oggi in tutta Italia, distribuito dalla 20th Century Fox.

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