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Chuck Palahniuk e il cinema

Cronaca cinematografica di un autore troppo ai margini per essere dentro. Dopo "Fight Club", le sue storie tornano sul grande schermo con l'adattamento di "Soffocare", dal 13 maggio al cinema.

Fight Club Brad Pitt

15.04.2009 - Autore: Andrea D'Addio
All’inizio del 2008 cominciò a girare la voce che Francis Lawrence, già regista di “Constantine” e "Io sono leggenda”, volesse trasporre sul grande schermo “Survivor”, quarto romanzo di Chuck Palahniuk. Lo disse lo stesso Lawrence in un’intervista durante il tour promozionale del film con Will Smith: “Sto lavorando alla sceneggiatura”. Di quell’idea non se ne sa più nulla, ora Lawrence è impegnato in un altro progetto (il primo episodio della trilogia fantasy di “Eddie Dickens”, dai romanzi di Philip Ardagh) e sembra difficile che a breve possa dare corpo a quanto affermato pochi mesi fa.



Nulla di nuovo per Palahniuk. Quello che è considerato uno dei più importanti esponenti della letteratura contemporanea americana ha già vissuto, e parecchie volte, annunci poi rivelatisi illusioni. Dal successo di “Fight Club”(1994), l’opera che ha dato il via alla sua popolarità, per ogni suo film si è parlato di una trasposizione cinematografica. L’unico progetto a realizzarsi concretamente però, dopo ben quattro anni, è Soffocare” (Choke) di Clark Gregg, in uscita in Italia il prossimo 13 Maggio (20th Century Fox). Troppo difficile forse rendere con altrettanta incisività le taglienti parole dello scrittore di Portland, ciò che lo hanno reso un autore cult in tutto il mondo, troppo alti i budget da mettere in preventivo per storie che poche volte si fanno mancare viaggi, sparatorie, gran numero di comparse e esterni a non finire.



E’ vero: ogni grande scrittore deve mettere assieme due qualità per essere tale: eccellenti contenuti e stile di scrittura magnetico. In Palahniuk l’uno è indissolubile all’altro, gli stessi pensieri espressi con un altro linguaggio non avrebbero la stessa forza. Non a caso la versione sul grande schermo di “Fight Club” è un’opera validissima perché a realizzarla è stato uno dei migliori registi contemporanei, David Fincher. L’espediente del libro del “non scrivere mai  il nome della voce narrante” (l’”Io” che nel film divenne Edward Norton),  per non rivelare la mimesi dei due protagonisti, fu tramutata al cinema in soluzioni visive astute e d’avanguardia, sempre in bilico tra sogno e delirio. Fincher non ricalcò Palahniuk, non si limitò al suo racconto sperando che questo da solo, ma privato delle parole, potesse affascinare, ma lo rielaborò a proprio modo facendone un’altra opera di altrettanto valore.



Un approccio al lavoro che Clark Gregg, con “Soffocare” non è riuscito a riproporre. E dire che forse “Soffocare” è il romanzo più lineare di Palahniuk, il meno pulp, assente da molti dei trip mentali soliti per i personaggi dello scrittore, il più “romantico” nella sua descrizione dell’animo del suo protagonista, un loser che si rende conto che nonostante voglia sembrare un egoista, è un catalizzatore di buoni sentimenti. Si poteva osare di più senza alcun timore di tradire la base originale, ma Gregg (comunque al suo esordio da regista, e quindi non senza scusanti)  sembra volersi limitare a riportare su schermo le cose come appaiono, senza incidere, rinunciando a scavare nel significato e nelle ambiguità dei vari rapporti interpersonali tra i personaggi (dalla strana amicizia tra Victor e Danny, forse due proiezioni della stessa persona, ai significati impliciti delle riunioni dei sex addict e tanto altro).



L’elemento caratterizzante della voce di Palahniuk è l’assenza di ipocrisia, l’incessante ricerca di mostrare e dimostrare quanto i limiti e le convenzioni dell’uomo di oggi siano semplici illusioni, comodi modi di pensare dentro ai quali adagiare la nostra mente, senza alcuno sforzo di analisi. Ecco la ragione per cui ritornano continuamente i temi del sesso e della morte: non sono strumenti per rendere pulp il racconto, ma emblemi  della natura animale dell’uomo, i suoi veri confini.  Difficile forse, per il politically correct di Hollywood, investire tanti soldi nella storia di un dirottatore di aerei (“Survivor”), in quella di una malata mentale che rimane tale ( “Diary”) o di una topmodel che sputa sul concetto di bellezza (“Invisible Monsters”), neanche immaginabile l’idea che si possano trarre dei lungometraggi dalle storie no limits di “Cavie” o dall’orgia infinita di “Gang Bang”, il suo ultimo romanzo.



Per Palahniuk non sarà certo un problema, i suoi fan continuano a seguirlo (spiace però rimarcare come da “Ninna Nanna” in poi, lo scrittore sembra aver perso il “tocco”), anche se, come ha scritto nella raccolta di articoli e pensieri “La scimmia pensa, la scimmia fa”, quei giorni sul set con Brad Pitt e Edward Norton furono, forse a tutt’oggi, tra i più belli della sua vita. Magia del cinema.

Per saperne di più
Soffocare – Il trailer

 

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