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Cake - La nostra recensione

Una Jennifer Aniston diversa, ferita e segnata, sfida il dolore e il nostro pietismo

29.04.2015 - Autore: Mattia Pasquini
In fondo Cake è un film più facile di quello che qualcuno avrebbe potuto sperare o temere. E non solo per la presenza di una star come Jennifer Aniston in un ruolo di quelli che piacciono molto a chi deve parlare bene dei film o proporli per un premio. Si parla di dolore, di paura, di suicidio e morte, di consolazione e di scappatoie. Ma in fondo di speranza, anche se la retorica sottesa alla vicenda è un elemento che vale la pena trascurare per meglio godere del viaggio. Immedesimandosi, per quanto possibile.

La sofferenza di Claire Bennet d'altronde è qualcosa con la quale è facile empatizzare, istintivamente. Meno se tenuti a distanza dal cinismo e una scorrettezza politica nella quale alcuni potrebbero faticare a riconoscere normalità, o sincerità. Ma in fondo l'umanità di un protagonista tanto duro è innegabile, soprattutto per le sue paure e pulsioni autodistruttive. Come la sua capacità di far presa, a meno di non restare delusi dal troppo sarcasmo della parte comedy o dall'eccessivo dolore di un contesto drammatico.



Non a caso dalle sue parti la chiamano 'Dramedy'. Rende bene. Anche se a volte è solo un escamotage per raccogliere più pubblico. Come anche questa volta, non ce lo nascondiamo. Se non fosse che, a volerceli vedere (magari facendoseli piacere), i diversi livelli della graduale scoperta del personaggio principale finiscono per funzionare. Nelle singole diverse parti. Elaborazione del lutto, dipendenza dai farmaci, fuga nichilistica nel sesso, rifiuto di amore e compassione non sorprendono nella sostanza, ma non dispiace la loro messa in scena.

Che passa - come detto - proprio da una Aniston inusuale, più che dalle scelte di regia del patinato Daniel Barnz (Beastly) o di scrittura del semplicistico Patrick Tobin (alla sua seconda sceneggiatura). Una macchietta, burbera e cinica, che fa sempre il suo effetto, ma qui il dark humor caratteristico di altri celebri interpreti ha sfumature più pietose, dolenti, che pur 'costruite' non mancano di colpire e raggiungere lo scopo.

In un percorso tutto sommato prevedibile incrociamo così una serie di personaggi più interessanti di quel che il film lascerebbe supporre (Adriana Barraza su tutti, ma senza trascurare Sam Worthington e la 'eterea' Anna Kendrick). Accompagnati per altro da battute e situazioni che la bella (nonostante il trucco) Jennifer rende credibili e coerenti. Dal suo rifiuto a partecipare a teatrini falsamente consolatori, o ad acconsentire a una pietà 'dovuta', al suo confrontarsi con la propria codardia… o giudizio, coscienza, ipocrisia, egoismo e rabbia che dir si voglia. Meri strumenti dei quali servirsi.



L'innecessario contorno di visioni, cicatrici e didascalismi vari non rovina il tono generale di una storia che non si prefiggeva certo uno scavo inedito o particolarmente intenso, ma che - nemmeno troppo - tra le righe torna a battere sul nervo scoperto del consumo di medicinali negli Stati Uniti, affrontato anche da alcuni film del recente Tribeca Film Festival (Franny con Richard Gere o il documentario Prescription Thugs). Un film che offre più occasioni di quelle che sembra. Un road movie, anche, a suo modo e in un modo molto particolare, considerato come la protagonista viaggia in auto. Eppure sono due viaggi, di segno completamente opposto, a segnare le tappe che finiscono per farle accettare una vita diversa, ma soprattutto la vita che le è rimasta, la propria.

Cake, in sala dal 7 maggio 2015, è distribuito dalla Warner Bros.