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Breeders - effetti collaterali della paternità nella serie con Martin Freeman (Recensione)

L'attore è un padre frustrato in una nuova interessante produzione britannica

02.04.2020 - Autore: Pierpaolo Festa
Martin Freeman invita i suoi fan a seguirlo in una nuova avventura televisiva. Qualcosa di meno epico e avventuroso rispetto a Sherlock, e tuttavia perfino più interessante. È possibile catalogare Breeders come “roba di prima qualità” nell’oceano delle sit-com televisive. Prima di tutto perché siamo davanti a un potente dramma travestito da sit-com. Prendiamo per esempio il format: dieci episodi da venticinque minuti ciascuno, tasselli di un mosaico che raccontano una coppia molto vicina ai cinquanta (Freeman e la meno conosciuta Daisy Haggard) la cui vita viene travolta dalla gestione di due figli piccoli. Una premessa che in apparenza contiene tutti gli elementi necessari per scatenare commedia. Quella è solo la punta dell’iceberg. Breeders parla infatti di due brave persone che messe davanti a una grande pressione dovuta a dinamiche familiari, scoprono di saper gestire poco la loro rabbia. 



Nata da un’idea dello stesso Freeman, questa produzione ambientata per la maggior parte all'interno di un appartamento e tra i tavoli di un pub, non prova mai vergogna nel mantenere un approccio realistico nel raccontare la difficoltà di essere genitori. Senza smettere per un attimo di cercare il sorriso,  Breeders cattura in pieno quei momenti in cui ogni freno del buonsenso negli adulti va a farsi benedire per lasciare posto a un lato della personalità che non era mai venuto fuori prima. 

Era Bill Murray a notare nel grandissimo Lost in Translation come “una volta che ti nasce il primo figlio, la tua vita, così come la conoscevi, se ne va”. Qui non c’è il romanticismo crepuscolare di Murray. Al centro dello schermo c’è un padre che urla ai suoi ragazzi, come se la sua bocca fosse una mitragliatrice armata per colpire. Vedere Freeman con la sua faccia da bravo ragazzo incarnare questo ruolo è quasi uno shock, nonostante abbia già mostrato il suo lato oscuro con un’altra grande prova nella splendida prima stagione di Fargo. Di certo questo personaggio non è un cattivo, né un corrotto, ma soltanto un uomo che prova a essere un bravo padre. E che può fallire: “morirei per i figli, ma a volte vorrei ucciderli” – dice in una delle prime scene della serie. Se si accetta questa frase allora Breeders può diventare un'interessante riflessione sugli effetti collaterali di quel momento in cui la vita entra in una nuova fase. Governata dallo stress. La stessa fase in cui talvolta si inizia a invecchiare precocemente. 


 
Una produzione britannica, trasmessa negli USA su FX, Breeders sa essere schietto e diretto come solo i britannici sono in grado di fare. Alla stessa maniera della serie After Life con Ricky Gervais (diventata cult su Netflix nonostante i suoi limiti), e anche più coraggioso. La serie è perfetta per il modo in cui centra la linea di contatto tra commedia e dramma. Una pasticca di buonumore in apparenza, un prodotto in grado di aprire gli occhi nella sua interezza. E di porre domande scomode, cercando il più possibile soluzioni intelligenti come risposte.  

La serie è ancora inedita in Italia. 
 
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