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Apostolo, la recensione dell'horror Netflix diretto dal regista di The Raid

Un thriller/horror con un'atmosfera perfetta, che soffre un po' per colpa di una storia abbastanza prevedibile

Apostolo

17.10.2018 - Autore: Marco Triolo
Per sua stessa natura, Netflix è un servizio che attira molta gente senza un'idea precisa di cosa vedere. Questa non vuole essere un'osservazione polemica, né tantomeno una critica, ma una semplice constatazione del fatto che uno dei grandi servizi offerti da Netflix è proprio quello di dare consigli a chi si trova nella spiacevole fase “Cosa mi vedo stasera?”.
 
Per questo, Apostolo verrà consigliato come un horror/thriller e magari colpirà più per la trama (che si affida al classico cliché della setta che nasconde terribili segreti) o per il cast (“Ehi, c'è Dan Stevens di Downton Abbey!”) che per gli autori coinvolti. Allora è bene sottolineare proprio questa cosa: il regista e sceneggiatore è un certo Gareth Evans, autore di The Raid – Redenzione e The Raid 2 – Berandal, vale a dire due dei migliori film d'azione dell'ultimo decennio.

 
Evans è un gallese che, assunto per girare un documentario sull'arte marziale indonesiana pencak silat, ne rimase talmente affascinato da trasferirsi in Indonesia a girare film d'azione. Ora è tornato in Gran Bretagna per cambiare completamente genere – anche se il tema di Apostolo è stato da lui già toccato nel suo segmento dell'horror V/H/S/2.
 
Al centro del film c'è la missione di Thomas Richardson (Stevens), un uomo che, nel 1905, parte per una remota isola alla ricerca della sorella, rapita da Malcolm (Michael Sheen), carismatico leader della setta, in cambio di un riscatto. I raccolti stanno andando male e la gente sta morendo di fame, e così Malcolm e i suoi consiglieri hanno deciso che “a mali estremi, estremi rimedi”. Ma non hanno fatto i conti con la furia disperata di Thomas, che si rivela un combattente abile e risoluto. Il problema? Thomas non ha fatto i conti con i terribili segreti che Malcolm nasconde.

 
Apostolo è un film che travalica i generi: parte come un thriller dalle atmosfere tese e sfocia nell'horror, passando attraverso sprazzi di azione girati da Evans con la consueta abilità. Non appena parte una colluttazione, è come se scattasse un interruttore ed Evans entrasse in modalità The Raid senza nemmeno rendersene conto. Sono sequenze rapidissime, ma possono dare anche allo spettatore casuale un'idea ben precisa dell'abilità incredibile di Evans nel dirigere l'azione.
 
Quando però fa dell'altro, Evans lo fa comunque bene. Sa costruire un'ottima suspense e un'atmosfera lugubre. Aiutato da un production design (di Tom Pearce) e da una fotografia (del suo collaboratore Matt Flannery) di grande livello, giocati sui toni del marrone, il colore della terra e del fango che pervade i set, Evans mette in scena un mondo isolato che sta marcendo, un'utopia finita male che si sta rapidamente trasformando in distopia. E un'allegoria per nulla velata su come il genere umano stia rovinando un pianeta fertile sfruttando la natura senza chiederle il permesso.



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Non tutto funziona a meraviglia, però. Quando decide di svelare i segreti dell'isola, Evans finisce per svelare fin troppo, affidando ai flashback i classici “spiegoni” che dettagliano per filo e per segno ogni cosa, ammazzando del tutto il mistero. Evans se ne accorge troppo tardi e opta per un finale più ambiguo che vorrebbe recuperare il senso di mistica tensione del primo atto, e in parte ce la fa. Ma un plot un po' troppo semplice, derivativo e prevedibile a tratti mina le ottime intenzioni.
 
Cozzano, insomma, due anime in Apostolo: da un lato, quella di un autore che vuole dimostrare di saper dirigere anche altri generi oltre all'azione, e che, quasi inconsciamente, vorrebbe essere “preso sul serio” anche da chi tende a liquidare le arti marziali come cinema di bassa lega (sbagliando). Dall'altro c'è invece l'Evans allegro sostenitore del cinema di genere, che ama raccontare storie semplici che arrivino al cuore e alla pancia degli spettatori. Non sempre le due anime convivono in armonia, ma vederle accapigliarsi è uno spettacolo in sé e per sé.
 
Resta un film che probabilmente non aggiungerà nulla, né nel bene né nel male, all'interminabile dibattito sulla natura più o meno cinematografica, più o meno degna dei film di Netflix. Ma, visto che è un dibattito abbastanza sterile (sì, Apostolo è un film, che lo si veda su uno schermo grande o piccolo poco conta), l'importante è non pensarci troppo e godersi due ore di intrattenimento fatto come si deve.