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Alice attraverso lo specchio - La nostra recensione

Barocco e prevedibile, il ritorno a Wonderland di James Bobin riesce a non deludere troppo

19.05.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
L'ultimo decennio ha visto incrinarsi il mito di Tim Burton, regista creativo e originale che sempre più sembra propenso a fare i film che ci si aspetta da lui (sperando che il prossimo La casa per bambini speciali di Miss Peregrine non continui il trend), anche e principalmente per l'Alice in Wonderland del 2010, divenuto emblematico della delusione dei fan nei confronti di un creatore di creature, e di sogni. Povero di vere idee, superficiale, a tratti irritante, quel film ha probabilmente spinto il cineasta di Burbank a riservarsi il solo ruolo di produttore nell'Alice attraverso lo specchio affidato a James Bobin.



Il regista dei due Muppets (e del prossimo Crossover tra Jump Street e Men in Black, MIB 23) non era probabilmente l'uomo giusto, in partenza, per restituire corpo alla storia dei personaggi creati dal (vero) genio di Lewis Carroll nel 1865 e per riempire le lacune lasciate dal suo producer. Ma per quanto possa apparire una scelta sbagliata, la sua versione del Alice Through the Looking Glass è in fondo meno deludente della precedente. Volterriano e pedantemente pedagogico, il film conferma la tendenza della sceneggiatrice Linda Woolverton - in passato 'penna' di Classici Disney del livello di La bella e la bestia e Il re leone, oggi dei due Alice e le due Maleficent - a piegare la narrazione alle esigenze di spettacolarità visiva di questo tipo di produzioni, limitandosi a un barocco moderno privo di reali creazioni.

L'arma a doppio taglio di approfittare di escamotage tipici di altri generi regala svolte interessanti, ad esempio con l'inserimento di dinamiche del 'Time Travel' più classico (divertente la citazione della Macchina di H.G. Welles, apprezzabile la rappresentazione del Mare del Tempo), rese troppo centrali in una storia che nasceva pronta su binari del tutto diversi. La didascalica insistenza sul tema del paradosso temporale conduce a un climax prevedibile e poco sorprendente che può sicuramere fare la gioia degli occhi - grazie anche a un 3D raro a vedersi, in molti momenti - ma non altro.



Come nel precedente, le vicende originarie non sono che un vago riferimento con cui giocare, cui ammiccare (per esempio nell'incontro con gli scacchi), creando contesti e situazioni nelle quali inserire imprescindibili personaggi alle prese con tutt'altre avventure. Ma sarebbe una scelta apprezzabile, quella di non adagiarsi su una mera trasposizione, se solo si riuscire a offrire qualcosa di più strutturato. E non un mero patchwork di brandelli diversi, emblematicamente anticipato dalle immagini - anche iniziali - dell'abito orientaleggiante della Alice emancipata (e non più immemore, come nel primo film) di Mia Wasikowska.

L'immersione nel tessuto risultante sarà probabilmente un successo, come lo fu l'Alice in Wonderland che aprì la strada ai tanti live action successivi. E in molti si sentiranno rassicurati dalle pseudo lezioni sullo scorrere del tempo, sul valore da dare alla vita e sulla capacità di apprezzare il presente senza farsi gravare dalle zavorre del passato (quelle sul 'nulla è impossibile' le daremo per assodate, seppur qui ribadite con una 'crisi' fittizia quanto forzata). O inteneriti dall'immancabile rivelarsi delle pene dei malvagi e delle colpe dei buoni, con relativi intercambiabili confronti e perdono.



Per quanto ci riguarda salveremmo gli splendidi servitori 'Arcimboldo-Style' della sempre pessima Regina Rossa di Helena Bonham Carter (della quale scopriamo le origini) e forse, nel cast, il solo Sacha Baron Cohen, new entry (insieme a Rhys Ifans) capace - con il mondo che domina e le peculiarità che comporta - a dare senso al tutto. Che altrimenti sarebbe ben poco 'oscuro', nonostante quanto promesso prima e dichiarato poi.

Alice Attraverso lo Specchio, in sala dal 25 maggio (anche in 3D), è distribuito da The Walt Disney Company