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Vai e vivrai

In "Train de vie" Schlomo l'avevamo lasciato nel mezzo della guerra in un campo di concentramento. In "Vai e vivrai" scopriamo che è scappato da quel campo per ritrovarsi in un'altra tragedia del XX secolo

vai e vivrai

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
L’Operazione Mosè e la storia dei Falasha. Nel 1984 migliaia di africani di 26 paesi diversi, costretti dalla carestia, abbandonano la loro terra per rifugiarsi in alcuni campi profughi del Sudan. Tra essi ci sono anche i falasha, gli ebrei neri. Israele e Stati Uniti con la cosiddetta Operazione Mosè li salvano dalla fame e dalla violenza riconducendoli in Terra Santa come legittimi discendenti del popolo ebreo. Radu Mihaileanu, regista ebreo rumeno, conosce bene l’esperienza dalla fuga dal proprio paese. Nel 1980 dovette infatti scappare dalla dittatura di Ceausescu per andare in Israele e stabilirsi poi in Francia. Qui racconta con cuore e cinepresa in mano la storia dei falasha e del loro epico viaggio verso Gerusalemme.

Il ritorno di Schlomo. In Train de vie Schlomo l’avevamo lasciato nel mezzo della guerra in un campo di concentramento. Gli spettatori e lo stessa regista si chiedevano se sarebbe sopravvissuto o che fine avrebbe fatto. In Vai e vivrai scopriamo che è scappato da quel campo per ritrovarsi in un’altra tragedia del XX secolo. Schlomo ha la pelle di un altro colore, è un altro attore. Eppure è lo stesso Schlomo, ha gli stessi occhi, lo stesso sogno di sopravvivere, e di riportare a casa la pelle. In un campo profughi i falasha stanno per partire verso Israele. Una madre cristiana li osserva e decide che anche suo figlio Schlomo deve riuscire ad unirsi al gruppo. Lo convince così a fingersi ebreo e a mettersi insieme ad una donna che ha appena perso il figlio.

Sul dorso di una grande aquila. E’ scritto nella Torah che i falasha sarebbero tornati in Terra Santa sul dorso di una grande aquila. Quando sono saliti a bordo dell’aereo, allora, non ebbero dubbi che si trattasse di quell’enorme animale biblico. Durante il viaggio una bambina chiede alla mamma: “È vero che quando saremo là diventeremo tutti bianchi?”. “Sì, a Gerusalemme scorrono ruscelli di latte e miele, è il paradiso”. Schlomo verrà adottato da una famiglia sefardita francese continuando a nascondere il suo segreto di non essere ebreo. Attorno a lui un paese in evoluzione che conoscerà la guerra, il razzismo verso gli ebrei neri e i vani accordi di pace. Comprenderà l’amore, il giudaismo e la cultura occidentale ma anche il razzismo e la guerra nei territori occupati. Diventerà ebreo – israeliano – francese – tunisino…ma non dimenticherà mai, però, la vera madre rimasta in Sudan. 

Il film epidermico. Mihaileanu racconta la storia con uno stile documentaristico ma senza evadere il pudore per la morte. L’orrore delle sofferenze è mostrato attraverso un prima piano del volto di una madre il cui figlio è appena morto. E’ un film tattile che mostra la sua epidermide allo spettatore. La pelle nera di un bambino che cresce in una società di bianchi. Va, vis et diviens è il titolo originale del film. E Schlomo “va”: viaggia verso la sopravvivenza; poi “vis”: vive l’adolescenza e scopre anche il dolce della vita; e infine “deviens”: diviene uomo, completa il suo destino. Tutto col contrappunto del doudouk, strumento armeno tradizionale, e le sue sonorità ruvide. E un gioco di colori magistrale: l’inizio monocromatico nei campi profughi, con il sole che scolorisce tutto, pure la vita della povera gente. Poi in Israele Schlomo conosce i colori della vita. Eppure lui dall’inizio del film fa sempre la stessa cosa: corre verso le sue madri. Schlomo è il figlio delle madri: si getta tra le braccia di quattro madri che lo amano ognuna a modo suo. Lui non le dimenticherà mai.
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