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Un sottogenere cult

I duelli enigmistici, a colpi di intuizioni e tranelli, tra killer e criminologi diventano il fulcro del filone serial killer.

Hannibal

23.10.2001 - Autore: Luca Perotti
Il capostipite dei serial killer è generalmente considerato M Il Mostro di Dusseldorf, capolavoro tardo-espressionista di Fritz Lang del 1931, un film spesso interpretato come ritratto prospettico della realtà sociale della Germania pre-Hitler che già covava i germi del fanatismo nazista. Da allora in avanti, soprattutto negli ultimi ventanni, la figura del folle sanguinario che compie le sue azioni efferate seguendo un rituale fisso ha spadroneggiato nella storia del cinema horror, Il serial killer è lincarnazione del male senza spiegazione e rappresenta sovente la variabile impazzita che stravolge pacifiche comunità. Ciò che terrorizza è la logica con la quale lassassino seriale svolge i propri crimini; ciò che seduce è spesso lo sfondo psichico che muove questi maniaci omicidi, la meticolosa preparazione e laccortezza con cui sceglie le proprie vittime che frequentemente sono collegate da un dettaglio, una somiglianza fisica, una colpa contro cui il sadismo del killer si scatena per vendetta, perversione sessuale, gravi disturbi della personalità. La morbosità che ammanta le storie in questione è il polo magnetico che attrae il pubblico spinto dal desiderio di esorcizzare le proprie paure e spiare nei meandri patologici dei carnefici. Ogni serial killer ha un marchio, un segno di riconoscimento: gli artigli di Freddy Kruger, incubo diabolico che invade lo spazio onirico dei teenager; la maschera di Jason o quella di Micheal Myers: spregevoli e accattivanti protagonisti, rispettivamente, della lunga serie di Venerdi 13 e Helloween, sequel emblematici di come le spregevoli pulsioni dei killer vengano spesso riproposte e sfruttate in numerose puntate a dimostrazione del fascino esercitato sugli spettatori. Il più famoso esteta del crimine dello scorso decennio porta il nome di Hannibal Lecter, (Il silenzio degli Innocenti, 1991) psichiatra cannibale interpellato dal FBI per mezzo dellagnellina Jodie Foster per catturare laltro maniaco del film, Buffalo Bill. Spesso la polizia è incapace di agguantare i pluriomicidi con i metodi tradizionali e si giova delle speciali cognizioni di detective estemporanei. E il caso del dottor Cross, labile psicologo che in Il collezionista si avvia sulle tracce di Casanova, col cuore in gola per le sorti di sua nipote, ultima vittima tra le fauci del mostro. Nel sequel, Nella morsa del ragno, altro esempio di sofisticato puzzle dai risvolti diabolici, allo stesso Cross viene annullata la sospensione perché lunico in grado di ostacolare i progetti disumani del fanatico di turno. I duelli enigmistici, a colpi di intuizioni e tranelli, tra killer e criminologi diventano il fulcro dei film in questione. Il motivo principale è il desiderio di penetrare nelle menti per isolare la molla e captare il disegno sotteso del criminale. Lattenzione, allora, si rivolge al dettaglio visivo, allindizio celato tra le maglie intricate della vicenda; ogni parola va analizzata, ogni azione sviscerata nei suoi lati simbolici. I sette peccati capitali, ad esempio, costituiscono larchitettura ingegnosa e biblica con cui Kevin Spacey turba la città anonima di Seven di David Fincher. E invece la società dello spettacolo al centro del frenetico e accusatorio Natural Born Killers di Oliver Stone, da un soggetto di Tarantino, in cui i due giovani protagonisti Mickey e Mallory giungono al culmine della popolarità nel loro coast-to-coast distorto e omicida, pubblicizzato e mitizzato dai mass media. Il filone si arricchisce anche di ricostruzioni elaborate a partire da episodi di cronaca, come in Summer of Sam di Spike Lee, ispirato al massacratore di coppiette nella New York del 77; o Henry, pioggia di sangue di John McNaughton, vera e propria chicca cinefila ( messo alla berlina da Nanni Moretti in Caro Diario), e perfetto esempio dellosmosi paradossale e inquinata tra finzione e realtà. Le sottili strategie psicologiche lasciano allora il campo al pulp estremo, quello per intenderci degli slasher movies americani, la cui radice comune è da ricercare in Non aprite quella porta di Tobe Hooper e che vantano un invidiabile catalogo di espedienti usati per massacrare le vittime scelte: motoseghe, trapani, siringhe infette, scuri, lanciafiamme, forni a microonde. La classe non è acqua, però: il maniaco di Frenzy, di Sir Alfred Hitchcock uccide le sue vittime strangolandole con uno stock di cravatte. Elegante e inappuntabile è anche Patrick Bateman, il vivisezionatore yuppie di American Psycho, versione cinematografica dello sconvolgente romanzo di Bret Easton Ellis. Sotto i suoi abiti di marca si cela limpulso disumano di chi ha smarrito la percezione etica del comportamento delittuoso, specchio deformante dell America reaganiana, sotto la cui coltre immacolata vibrano colpi di accetta e coltelli assetati di sangue.