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Un ruolo semi-serio per redimersi

Finalmente un ruolo per scrollarsi di dosso l'etichetta, frettolosa, di comico a vita. Sofia Coppola con una commedia dolce-amara, cucita addosso a Bill Murray, segna il riscatto dell'ex Ghostbusters. Tra risate, amore e dramma umano.

Bill Murray

12.04.2007 - Autore: Maria Elena Capuano
Anche per questa pellicola i titolisti italiani hanno stravolto senso e spirito che il regista ha inteso dare al film. Lost in translation diventa L'amore tradotto. Non si tratta, infatti, di una storia d'amore. O meglio, non solo. I protagonisti, Bill Murray e Scarlett Johansson, si incontrano per caso nell'albergo in cui risiedono e comincerà un dialogo ininterrotto che li condurrà verso una intensa quanto improbabile amicizia. Il film è una storia malinconica sullo sfondo della sterminata Tokio dei nostri giorni. Una città spersonalizzante, dove forse la solitudine e il disorientamento travolgono chi vi si trova all'improvviso. E non conosce la lingua. Forse la sua faccia di plastica e, purtroppo, il suo doppiatore italiano rendono il personaggio meno credibile e strappano una risata più del dovuto, ma nel contesto il film è delizioso e merita una serata al cinema. E, poi, c'è Sofia Coppola, degna figlia di suo padre, Francis Ford.   In Lost in translation Bill Murray sfoggia un'insolita faccia seria da naufrago che ha perso la bussola. Solo. Insonne, guarda il vuoto nella sua stanza d'albergo, facendosi cullare dalla colonna sonora very cool firmata da Brian Reitzell. In questa jungla di vetro e neon si prende una sbandata per una giovane donna. Il personaggio di Bob è stato pensato e scritto proprio per Murray. Nel suo essere abbandonato all'immensità della megalopoli nipponica Bob Harris si imbatterà suo malgrado in tutti gli stereotipi sulla brulicante popolazione del Sol Levante: gli innumerevoli inchini, il braccio della doccia ad altezza giapponese, la mimica, la rigidità dei loro schemi, la tecnologia hi-tech inutile e sovrabbondante.   Lui è una star al tramonto, sposata da 25 anni con moglie e figli che non lo prendono sul serio e che si ritrova a Tokio per pubblicizzare una marca di whisky. La sua solitudine si incontrerà con quella di Charlotte più giovane di lui di 25 anni, con un matrimonio di 2 che ha seguito il marito fotografo lì per lavoro. Entrambi insoddisfatti e abbandonati a sé stessi. Insieme gireranno per le strade della città, nei locali, guarderanno vecchi film con bicchieri di whisky e vodka tonic.   Ma la Coppola ha pensato bene di non far scivolare la sua commedia in un banalissimo e scontato the end facendoli finire a letto insieme. Lost in translation è, dunque, una commedia ironica consegnata interamente nelle mani di un brillante Bill Murray, con un inizio esplosivo che mano a mano che la pellicola scorre si distende creando un saldo equilibrio tra la comicità, una storia d'amore e il dramma umano della solitudine. In questo film l'amore c'è, ma Charlotte e Bob non se lo dicono, dormono insieme solo sfiorandosi, senza parlare di amore. Lei ha studiato a Yale e poi si è sposata nel tentativo di sfuggire al suo individualismo intellettuale; lui ha le sue responsabilità di famiglia e lavoro. È solo alla fine che si sussurreranno qualcosa all'orecchio, che succederà qualcosa. Ma noi non sapremo mai cosa si saranno detti.