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Tetre fiabe sinfoniche

L'emergente compositore Dario Marianelli nobilita l'ultimo Gilliam ("I fratelli Grimm") con un perfetto risultato di affiatamento tra musica e immagini

I Fratelli Grimm

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci
Finora le eccezioni erano state soltanto due. "La Leggenda Del Re Pescatore", cui George Fenton aveva garantito un perfetto commento, e "L’Esercito Delle 12 Scimmie", attraversato dalla particolare rivisitazione piazzollana di Paul Buckmaster. Per il resto, la maggiore affinità in fatto di musica e immagini Terry Gilliam l’aveva grandemente trovata con Michael Kamen. Certo, definire collaborazione l’esperienza maturata a fronte di due soli film, "Brazil" e "Le Avventure Del Barone Di Munchausen" (gli interventi di riempimento per "Paura e Delirio a Las Vegas", in coppia con Ry Cooper, rischiano di non fare testo tanta la loro brevità e indeterminatezza), potrebbe contrariare i più, che in questo senso potrebbero giustamente obiettare una fraintendimento in termini: magari le vere eccezioni sono state proprio quelle di Kamen, chiamato in via del tutto straordinaria a dettagliare in musica le due sole opere consecutive affidate al medesimo musicista da un regista normalmente interessato al cambiamento. Eppure rimane incontestabile la profonda comprensione che il musicista prematuramente scomparso riuscì ad evidenziare per i bizzarri territori dell’ex-Monty Python, per le profondità viscerali del suo materiale umano, per l’incontestabile originalità narrativa deformante sempre in bilico tra fiaba e delirio, tra incubo e candore. Anche e soprattutto per questo, la brevità della collaborazione paragonata al valore dei risultati può far cadere in simili approssimazioni.

Non è dato sapere se i due meditassero, negli ultimi anni, l’idea di una nuova riunione artistica. Il forzato abbandono dell’incompiuto progetto su Don Chisciotte non arrivò mai in fase di post-produzione e la lunga assenza di Gilliam dagli schermi seguitane ha definitivamente dissipato ogni speranza lo scorso anno con il sopraggiungere della morte del compositore. Impossibile non pensare però a quanto il colorato tratto di Kamen si sarebbe rivelato congeniale alla ‘Favole delle favole’ con cui il regista ha deciso di tornare al cinema. Si sa che la sua prima scelta era stata Goran Bregovic, favorito soprattutto dal bisogno di materiale folcloristico-zigano per una parte consistente del lungometraggio. Si sa della successiva necessità di virare verso uno scenario maggiormente sinfonico per meglio accordarsi all’ampiezza grafica e scenografica del film ultimato. Si apprende ora, ascoltando il densissimo lavoro svolto dal newcomer Dario Marianelli, che l’ultima scelta del regista ha reso ancora una volta giustizia al suo intuito audio-visivo.

Massiccia e poderosa nel suo enfatico grandeur compositivo, melodicamente sufficiente ad evidenziare due temi portanti (una minacciosa marcia dal sapore vagamente decadente, presentato nell’iniziale “Dickensian Beginnings”, e un motivo più subdolo per la foresta malvagia e incantatrice) tra le fitte e soverchianti strutture ritmiche, questa prima prova nel mainstream di Marianelli è promettente e assolutamente riuscita. L’approccio orchestrale sicuro e già screziato di notevoli indicazioni di personalità poggia fortemente sull’impasto degli ottoni (non di rado capaci di una violenza paragonabile al Goldenthal più selvaggio), sul cangiante utilizzo degli archi – dagli ampi veli magniloquenti di “And They Lived Happily Ever After” al tagliente e ipnotico trattamento herrmanniano di “A Slice Of Quinche Would Be Nice” e “The Eclipse Begins”(con evidenti memorie arpeggianti de La Donna Che Visse Due Volte) – sul partecipe, interessante uso della compagine corale (l’efficace London Oratory School Schola impreziosito dalle parti soliste di Dessislava Stefanova) e, non ultimo, su un’inventiva percussionistica che, complice l’apporto degli specialisti Simon Allen e Paul Clarvis (responsabili della creazione di strumenti appositamente pensati per lo score), favorisce un  parallelismo con l’originalità strumentale goldsmithiana.

In un perfetto risultato di affiatamento alle immagini, così come i due celebri fratelli protagonisti si avventurano tra toni macabri e squarci fantasiosi, la musica di Marianelli entra ed esce da sconvolgimenti melodici, sconquassi di proporzioni operistiche e sviluppi imprevisti che ingoiano frammenti di nenie in tumultuosi ostinato a tutta orchestra, senza risparmiare al turbamento chiaroscurale neppure le citazioni classiche di Brahms e Rossini. E la gestione ritmica, l’esuberanza timbrica e la dettagliata capacità narrativa si fondono in perfetta funzionalità nel brano “The Forest Comes To Life”, vero excursus dimostrativo dell’intera partitura.

Pisano d’origine ma formatosi a Londra presso il Guildhall School of Music, con al suo attivo già una serie di lungometraggi e prodotti televisivi, Dario Marianelli è un rinfrescante toccasana nel fitto bosco di emergenti hollywoodiani, che troppo spesso il blasonato sound Media Ventures tende a plagiare. Attento alla scelta di collaboratori di prim’ordine (in primis l’orchestratore e direttore d’orchestra Benjamin Wallfisch) la sua predisposizione al classicismo non tarderà a riemergere nella colonna sonora dell’imminente "Pride & Prejudice". Per il momento si può solo aggiungere che Gilliam ha fatto la scelta giusta.