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Taiwan: un cinema senza una nazione

I suoi registi trionfano nei festival, mentre la produzione taiwanese crolla. Il paradosso di un'isola dall'immaginario multicolore, con un cinema ma senza una nazione

Mangiare bere uomo donna

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Ilha Formosa, commentarono i viaggiatori portoghesi quando passarono per la prima volta da quelle parti nel XV secolo. L’isola bella di Taiwan se ne sta lì, presa in mezzo tra Cina e Giappone, col rischio di far la fine della maionese nel sandwich (The Sandwich man è il titolo di una raccolta di novelle del celebre scrittore taiwanese "nativista" Huang Chunming). Prima è la piccola Cina, poi ceduta al Giappone in prestito per un mezzo secolo (1895-1949), poi è la Cina non comunista - sede del governo cinese nazionalista in esilio. Esclusa nel 1971 dalle Nazioni Unite pare un paradossale paese apolide. Esiste o non esiste? Probabilmente non esiste, eppure esiste un suo cinema. Bel problema.

Di chi è la colpa? Se il cinema arriva a Taiwan dal Giappone nei primi del Novecento, prima del 1925 non c’è traccia di pellicole autoctone. Poi il titolo del primo film, Di chi è la colpa?, sembra proprio un ironico quesito sul senso e l’identità del proprio paese. Più in là, usciti da un paio di guerre, con l’avvento del governo nazionalista nasce la CMPC (Central Motion Picture Company), casa di produzione specializzata in film di propaganda anti-comunista o sugli eroi nazionali, tipo uno che aveva immolato la vita per salvare un ponte durante la guerra, fate conto.

Il boom economico e il cinema di Hong Kong. Nel frattempo il boom economico si preannuncia negli anni ‘60 con il primo reattore nucleare e la prima borsa. Lo sviluppo del paese spinge a rivalutare la cultura e i valori tradizionali e l’industria cinematografica molla la propaganda deliberata per il "Sano realismo”.  Taiwan diviene allora la terza maggiore produttrice di film in Asia (dopo Giappone e India). Oltre ai film del "Sano Realismo" produce il genere classico del wuxiapian, commedie romantiche e melodrammi in costume. Tuttavia la povertà a livello visivo delle pellicole impedisce l’affezione del pubblico. Bastano due minuti spettacolari e rutilanti di cinema hongkongese per far gongolare lo spettatore di Taipei.

Il Nuovo Cinema Taiwanese. In questo scenario, tra la fine dei ’70 e i primi ’80, nasce il nuovo cinema taiwanese. Fino ad allora c’erano film commerciali infusi di propaganda, commedie romantiche, film di kung fu spettacolari o drammi sentimentali. Con lo stato che teneva stretti i lacci della censura, mai nessuno aveva pensato al cinema come arte o espressione di significati più alti. Il 1982 è l'anno della svolta. Esce il film In Our Time capace di descrivere realisticamente la società taiwanese post 1945 e le sue piccole rivoluzioni quotidiane, mettendo insieme attori professionisti e non.

I talenti degli anni ’90. All’interno del Nuovo Cinema Taiwanese emergono i registi che saranno noti a livello internazionale: Hou Hsiao-hsien, Leone d'oro nel 1988 con Città dolente e l’anno dopo con City of Sadness, poi premio della critica a Cannes con The Puppet Master. Li An (notorio poi con il nome di Ang Lee) con la sua messa in scena della borghesia taiwanese (Mangiare, bere, uomo, donna e Il banchetto di nozze) e l'omaggio al cinema di arti marziali La tigre e il dragone (Oscar 2001). Oppure Edward Yang palma d’oro a Cannes nel 2000 con YI YI - E uno...e due... , o Tsai Ming Liang (premiato a Venezia nel 1994 con il Leone d'oro per Vive l'amour!, a Berlino nel 1997 con l'Orso d'argento per Il fiume).

Successi d’autore e crisi del mercato. Un paradosso rischia di strangolare tuttavia il cinema taiwanese. Negli ultimi vent’anni i suoi maggiori esponenti hanno trionfato nei festival di tutto il mondo mettendo Taiwan sui manuali della storia del cinema. Eppure di pari passo il sistema produttivo taiwanese è entrato in una fase di recessione di cui pare non riuscire a trovare il bandolo. Il sistema industriale garantito dallo stato è caduto sotto i colpi anti-regime del Nuovo Cinema Taiwanese. Eppure gli esponenti di questa Nouvelle Vague all’orientale non sono riusciti a darsi una struttura in grado di sostenere il mercato cinematografico dell’isola. Se dal punto di vista poetico hanno dato vita ad un impulso comune, a livello produttivo si sono esiliati tra America, Hong Kong, Cina e Giappone, in cerca dei soldi per i propri film e nulla più.

L’identità frammentaria. E’ nella storia dell’isola. Anzi, è la storia dell’isola che si rimpossessa del suo cinema. Il XX secolo è stato per Taiwan un impasto di culture diverse, se non opposte. Difficile ricercare le proprie origini tra la dominazione giapponese, la storica tradizione cinese e le sirene del modello americano seguite alla scelta anticomunista del Kuomintang: una fusione piena di cicatrici e cuciture sulla pelle del popolo taiwanese. Solo le immagini del cinema sono in grado di restituire un immaginario così complesso; quasi impossibile invece la costruzione di un sistema industriale e seriale cinematografico.