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Stasera in TV, 7 giugno: ACAB - All Cops Are Bastards, nerissimo e inaccettabile

Il film d'esordio di Stefano Sollima resta un esempio di cinema di genere, raro e onesto per il nostro panorama nazionale

07.06.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
L'altra faccia di Diaz - Don't Clean Up This Blood di Daniele Vicari è quella che propone l'esordio cinematografico del 'padre' dell'ultimo Suburra, di Romanzo Criminale e Gomorra, Stefano Sollima. Il suo ACAB - All Cops Are Bastards è un film nero e durissimo con un cast composto da Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Domenico Diele e Andrea Sartoretti che non vi lascerà indifferenti e che mostra una Roma - e una Italia - diverse da quelle viste nella maggior parte del nostro cinema.

Il film. Cobra (Piefrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono tre “celerini bastardi”. “Celerini”, così si sentono, più che poliziotti. Sulla loro pelle hanno imparato ad essere bersaglio perché vivono immersi nella violenza. In una violenza che diventa lo specchio deformante di una società esasperata, di un mondo governato dall'odio che ha perso le regole e che loro vogliono far rispettare anche con l'uso spregiudicato della forza. Nel momento forse più delicato delle loro esistenze, quando la vita privata arriva alla resa dei conti, incontrano “il futuro” in una giovane recluta, Adriano (Domenico Diele, di 1992), appena aggregata al loro reparto.



Dietro le quinte. Il debutto sul grande schermo del regista - fino ad allora - televisivo di fiction poliziesche come Distretto di polizia, R.I.S. e La squadra ha approfittato dell'omonimo romanzo di Carlo Bonini (Einaudi), basato su una storia vera. Una storia che nel suo adattamento cinematografico è cambiata in più punti, su tutti per l'inserimento della recluta Adriano (al posto dell'originario 'Sciatto'), l’eliminazione del capo Fournier e la 'divisione' del personaggio del celerino Drago nei tre diversi Cobra, Negro e Mazinga. Il titolo in sé - ACAB, acronimo di "All cops are bastards" ("tutti i poliziotti sono bastardi") - viene dal motto degli skinhead inglesi degli anni Settanta, diventato poi simbolo e annuncio di guerriglia urbana, dalle strade agli stadi.

Perché vederlo. Per vedere un film italiano che, lontano da indeulgenze o concessioni, riesce a non far rimpiangere stile e atmosfere di certi thriller nerissimi della tradizione statunitense. C'è chi ha parlato di Michael Mann, ma è sicuramente l'esperienza costruita dal regista nei suoi anni precedenti a dare i suoi frutti. Quella e l'attualità nazionale, riletta secondo filtri che non sempre trovano spazio nella narrativa per immagini cui siamo abituati. Non in questa forma, per lo meno. Il cinema di genere e la denuncia politica si mescolano qui, drammatizzate senza retorica o demagogia attraverso personaggi dal grande carisma.

La scena da antologia. Come abbiamo già suggerito altrove, il film di Sollima presenta più di una sequenza capace di togliere il fiato. A partire da quella iniziale, con un Favino in piena esaltazione alla vigilia dello scontro allo stadio.



I premi. Il Premio Flaiano come Miglior Attore dell'anno a Pierfrancesco Favino è sicuramente la ciliegina sulla torta per un film che ha raccolto più plausi che premi. Ma che el 2012 è comunque stato candidato a sei David di Donatello (Miglior regista esordiente a Stefano Sollima, Miglior attore non protagonista a Marco Giallini, Migliore fotografia a Paolo Carnera, Miglior trucco, Miglior montaggio e Miglior sonoro), alcuni dei quali bissati dalle cinque ai Nastri d'argento (con due vinti, per Pierfrancesco Favino e Marco Giallini) e da quella al Globo d'oro per il Miglior attore.

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