NOTIZIE

Le protagoniste di "In her shoes"

In occasione della presentazione romana di "In Her Shoes" abbiamo incontrato il regista del film, Curtis Hanson, e le due protagoniste Cameron Diaz e Toni Collette

Cameron Diaz - In Her Shoes

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Nonostante quello che si pensa, nei suoi film i veri personaggi “forti” sono quelli femminili, mentre gli uomini mostrano spesso il loro lato debole, immaturo, in qualche caso violento. In questo film finalmente il ribaltamento è esplicito…  
C.H. – E’ vero. La critica americana è rimasta piuttosto spiazzata da questo, e mi hanno spesso chieso coem mai abbia fatto un film sulle donne, ritenendomi un regista prettamente “maschile”. In realtà in opere come “L.A. Confiedntial” o “Wonder Boys” sono i personaggi di Kim Basinger e Frances McDormand ad avere sempre il controllo della situazione e ben chiare la propria identità ed il proprio ruolo, mentre i protagonisti maschili vacillavano in preda a dubbi, riguardanti soprattutto la loro identità. Ho deciso di dirigerre “In Her Shoes” quando ho conosciuto i ruoli di Maggie e Rose: due persone che necessitavano, seppur in maniera diversa, di contatto umano e della ricerca di comprensione verso se stesse.

Come vi siete dovute confrontare con un personaggio che in molte parti sono brillanti  mentre poi assumono anche toni decisamente drammatici? Quale dei due aspetti avete preferito?  
C.D. – Io ho amato il personaggio di Maggie per intero, era impossibile dividere uno dei due aspetti della sua complessità. Interpretarla è stato come compiere un viaggio dall’oscurità della sua confusione iniziale verso la luce della comprensione di sé stessi.
T.C. – Già, quello che anche a me ha entusiasmato della sceneggiatura di Susannah Grant è stato finalmente vedere così coerente e veritiero il cambiamento di un singolo personaggio. Lo script mi ha comunicato immediatamente la sincerità e l’emotività di Rose.

Avete avuto delle difficoltà ad interpretare i vostri ruoli, ed avreste voluto recitare nella parte dell’altra?  
C.D. – Io per recitare in questo film mi sarei presa pure la parte della vecchia signora Leibowitz! A parte gli scherzi, anche se non mi identifico nella tristezza e nella confusione di una ragazza come Maggie, per me interpretarla è stato come seguire un flusso lungo e tranquillo: tutto è venuto da sé, e questo credo sia molto merito di Curtis e della storia. Io poi sono stata aiutata dal fatto di avere una sorella maggiore che si è sempre presa cura di me. Per cui è sotto estremamente facile arrivare alla psicologia sia di magie che di Rose.
T.C. –E’ verissimo. Un attore sogna sempre di trovare dei personaggi così chiari ed interessanti. La sfida consiste poi nell’arrivare a provare gioia alla fine del proprio lavoro, consapevoli di aver compreso ed aver fatto tuo il ruolo che hai a disposizione.

Quale è stato l’impatti di dover lavorare con un’icona come Shirley MacLaine?  
C.H. – Per semplici motivi di età, io sono un fan di Shirley ancor più di Toni e Cameron! Prima di fare il casting con lei ho voluto incontrarla personalmente, per proporle una sfida: lei è una persona dalla vitalità esuberante, talmente piena di vita e di idee da essere addirittura strabordante. Io le ho fatto capire che avrebbe invece dovuto tratteggiare la figura di una donna tranquilla, che preferisce nascondersi. Il risultato della sua interpretazione penso sia qualcosa che si avvicina ad un miracolo di equilibrio.
T.C. - Oltre ad essere davvero un’icona del cinema americano, si è rivelata una persona sincera e disponibile, due qualità che per me sono indispensabili per le persone con cui devo lavorare.
C.D. – Per me da sempre la MacLaine è stata fonte di ispirazione, per cui ero molto nervosa all’idea di dover recitare con lei. Sentivo che c’era cos’ tanto gap tra me e un’artista del genere da esserne intimorita. Ed invece è stata proprio lei ad azzerare subito questa presunta lontananza. E’ ancora oggi una donna talmente curiosa della vita!

Tutti e tre siete degli artisti che amate sorprendere i vostri fan, proponendogli opere sempre diverse dalle precedenti…  
T.C. –Per quanto mi riguarda io cerco prima di tutto di sorprendere me stessa, che poi è la cosa più importante, per poi cercare di attirare il pubblico verso la storia che mi ha colpito.
C.D. – Toni ha assolutamente ragione. Per quanto un attore difficilmente voglia confessarlo, in realtà i film li fa per sé stesso, per appagare le proprie esigenze, più che per il pubblico…
C.H. – Io ad esempio spendo un’enorme quantità di energia per curare tutti i dettagli dei miei film, dalle inquadrature agli oggetti da mettere sul set. In questo mondo mi costruisco dei mondi in cui mi piace immergermi, che voglio esplorare io per primo. Per questo in realtà cerco sempre di cambiare rispetto al lavoro precedente. Ma tutti questi dettagli, questi universi che costruisco, sarebbero niente senza l’apporto degli attori: io adoro farmi sorprendere da loro, anche da quelli che non conosco, una volta che li ho calati nell’ambiente e nella storia che ho ideato per loro. Uno dei motivi per cui ho voluto dirigere “In Her Shoes” è stato proprio quello di vedere all’opera tre attrici di tale bravura all’esplorazione di un universo così complesso e sfaccettato come quello scitto dala Grant.