NOTIZIE

Indian - La grande sfida

Dalla Nuova Zelanda allo Utah, la grande sfida di Burt Munro. Su una vecchia moto Indian degli anni '20 ad inseguire il suo sogno. Fare qualcosa di grande. Stabilire il record di velocità

The World's Fastest Indian

12.04.2007 - Autore: Francesco Persili
The world’s fastest Indian, Nuova Zelanda, USA, 2006
Regia: Roger Donaldson
Cast: Anthony Hopkins, Chris Lawford, Chris Williams, Annie Whittle, Aaron Murphy

Dalla spiaggia di Invercagill, Nuova Zelanda alle saline di Bonneville, nello Utah, Stati Uniti, la straordinaria impresa di Burt Munro. La storia vera di un uomo timido, onesto, stravagante. Che vive solo, in un capanno, con la sua passione ad una dimensione. Da circa trent’anni cerca di fare della sua Indian Twin Scout del 1920 la moto più veloce del pianeta. Una magnifica ossessione, metterla a punto. Lottare contro il tempo e contro se stessi, partire per l’America. Battere il record. Un sogno, la ragione di una vita. La grande sfida di Burt. ”Fare qualcosa di grande”, andare al massimo. Soltanto il piccolo Tom, figlio dei suoi vicini di casa, crede in lui. Per gli altri abitanti del villaggio è un visionario nei confronti del quale comunque tutti provano un sentimento di tenerezza. Dopo un attacco di angina, il vecchio Burt si convince. Parte, prima che sia troppo tardi. Si ipoteca le casa, accetta i fondi raccolti dai concittadini, mette mano ai suoi risparmi. Per pagarsi il viaggio dalla Nuova Zelanda agli USA lavora perfino come cuoco su un cargo. Sbarca in America, è pronto a tutto. Dalla California si spinge verso lo Utah. Tra rettilinei infiniti, canyon e tramonti mozzafiato, pare catapultato all’improvviso in un road-movie scialbo, abbastanza tipizzato. Contrattempi prevedibili e una galleria di amici incontrati per la strada (un travestito dolce e premuroso, un venditore di automobili usate, un indiano generoso, e una vedova allegra) che si rivelano utili alla causa ma aggiungono poco sapore al film. Così a passo lento, dolcemente, senza strappi al motore, avrebbe sussurrato Battisti, in un’atmosfera da fiera dei buoni sentimenti si arriva alla prova finale. Una distesa di sale, un letto infuocato, un bolide di mezzo secolo fa lanciato a tutta velocità. Il battito matto del cuore, il rombo del motore, quel suono sacro che ti prende e ti trascina via. Montare su, aprire il gas, accelerare. Il coraggio più grande di tutti, volare oltre la paura, toccare i 300 km/h. Come mai nessuno prima di lui, come mai nessuno dopo di lui. Al culmine dell’ebbrezza, prendersi un posto speciale nel libro dei primati e quel record che dal 1967 ancora resiste. Così il sogno di Burt Munro diventa segno di eccellenza. Della sua ostinata caparbietà, dell’intraprendenza kiwi (figlia della filosofia del ”buttati e fallo”), della forza titanica di non arrendersi alla vecchiaia, al destino, al fato avverso. Nel cinema come nella vita, valori non negoziabili. ”Se è dura, lavora duramente, se è impossibile, lavora ancora più duramente. Metticela tutta ma vai fino in fondo”, il suo messaggio. Non è un film costruito per intero intorno al mito della velocità e al mistero agonico di un record, ma una pellicola che scorre lieve e piana insistendo (ma non troppo) sulle pieghe e sui risvolti. Vorrebbe vivere di dettagli e sfumature. Si accontenta di cogliere speranza e possibilità. Soffermandosi sulla scintillante bellezza di un uomo tenace che non rinuncia alle proprie ambizioni, all’antico desiderio. Anche se gli anni passano, lui è disposto a correre qualsiasi rischio. Rilancia sempre, costi quel che costi. Appartato e silenzioso, Burt, interpretato da un sontuoso Anthony Hopkins, perfettamente a suo agio nel ruolo, è l’eroe della porta accanto. Testardo, geniale, il vicino che fa la cosa che non t’aspetti. Ha la curiosità di chi cerca ovunque, ed il gusto di partire. Alla ventura, alla scoperta, alla (ri)conquista di un pezzo di sé.

Buona la sceneggiatura, da rivedere la regia. Donaldson che torna a lavorare con Hopkins dopo la reciproca ostilità maturata ai tempi de ”Il Bounty”, continua a mostrare entusiasmo per l’impresa di Munro. L’aveva conosciuto, e, attratto dalla sua storia, aveva già girato nel ’72 un documentario per la tv. Nel film la tensione emotiva ogni tanto si perde, e scappa fuori tra una citazione e uno slogan, qualche ripetizione e una patina insopportabile di realismo annacquato e farlocco. Da cartolina.

La trama oscilla tra il dostoevskijano sapere per cosa si vive ed i valori del perfetto ”sportivo”, anche se siamo lontani dall’intensità dei riferimenti classici del genere: Rocky, Billy Elliot, Momenti di Gloria. Per famiglie (la domenica pomeriggio, ovviamente) ed appassionati di moto, come Alex Britti. Il cantante romano firma il brano Blu Indian e la musica su cui scorrono i titoli di coda.

La frase: ”Si vive di più andando 5 minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in una vita intera”.