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Deadwood

Nella noia di una tv che non propone molto altro che repliche, consigliamo di volgere lo sguardo al mercato dell'home video e ripescare serie importanti. A cominciare da "Deadwood".

Deadwood

01.07.2010 - Autore: Adriano Ercolani
Il processo di revisionismo estetico e contenutistico che ha segnato il passaggio dal cosiddetto western “classico” a quello moderno trova i suoi punti di riferimento principali in pellicole come “Il mucchio selvaggio” (The Wild Bunch, 1969), “Missouri” (The Missouri Breaks, 1976) o più recentemente “Gli spietati” (Unforgiven, 1992).  Alla fine di questo filone di lungometraggi che hanno demitizzato e reso più cupo il periodo della frontiera e della corsa all’oro si può situare “Deadwood” (id., 2004), serie Tv di tre stagioni creata da David Milch e realizzata con la supervisione di Walter Hill, uno dei grandi cineasti che hanno contribuito a fare del western un qualcosa che andasse oltre i confini troppo stretti del genere hollywoodiano.

La trama principale, quella che lega tra loro una serie di personaggi tratteggiati con enorme finezza psicologica (soprattutto nella prima stagione), è incentrata sull’eterna lotta tra bene e male, impersonata dall’idealista sceriffo Seth Bullock (Timothy Oliphant) e dal cinico ma molto più realista Al Swearengen (Ian McShane), tenutario del saloon principale della città ed eminenza grigia che si cela dietro ad ogni traffico più o meno lecito di Deadwood. La potenza espressiva della serie sta nel fatto che questa dicotomia, da sempre presente in un genere tutto sommato stilizzato come il western, in “Deadwood” viene invece proposta in tutte le sue sfaccettature: ogni azione proposta dalla sceneggiatura dei vari episodi ha bisogno di essere contestualizzata in un sistema di valori che non può essere dettato solamente dall’etica, bensì dalle necessità contingenti alla sopravvivenza. Sotto questo punto di vista ciò che è giusto e ciò che non lo è, soprattutto nel dipanarsi delle varie sottotrame, viene costantemente messo in discussione, rendendo ogni puntata della serie un tassello che merita di essere analizzato da parte degli spettatori. Tutta l’escalation di tensione, angoscia e violenza della prima stagione trova poi chiusura in un episodio finale di rarissima potenza emotiva, dove la vera natura dei magnifici personaggi viene espressa con una profondità inusitata per un prodotto televisivo.

Su una serie di caratteristi pressoché perfetti come John Hawkes, Brad Dourif, Molly Parker, Jeffrey Jones e molti altri, a svettare in “Deadwood” è un Ian McShane sontuoso, che regala alla figura di Swearengen un’umanità selvaggia e stratificata, degna dei grandi “villain” propri del western.

Vincitore del Golden Globe 2005 come miglior attore drammatico, McShane basterebbe da solo come motivo per ripescare questa serie TV in Italia purtroppo maltrattata dalla programmazione, come spesso capita a prodotti che provano a proporre al pubblico televisivo qualcosa di più intelligente e complesso rispetto al solito, superficiale intrattenimento da prima serata.

Nel caldo estivo di una tv che punta tutto sulle repliche vi consigliamo di cercare altrove, magari nel mercato dell’home video, e approfittarne per ripescare qualche perla. Proprio a cominciare da “Deadwood”.
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