NOTIZIE

Breakfast on Pluto

Dopo qualche anno di silenzio Neil Jordan ritorna in ottima forma e ci regala una delirante ed eccessiva, ma in ultima analisi sincera e coinvolgente, apologia del potere dell'immaginazione

Breakfast On Pluto

12.04.2007 - Autore: Marcello Paolillo
Dopo qualche anno di silenzio (e il trascurabilissimo The Good Thief), Neil Jordan ritorna in ottima forma per quello che è probabilmente il suo miglior film dai tempi di The Butcher Boy, e ci regala una delirante ed eccessiva, ma in ultima analisi sincera e coinvolgente, apologia del potere dell’immaginazione.

La storia parla da sé. Patrick Brady è un ragazzino irlandese nato da una relazione impropria tra un prete di un paesino di campagna e la sua cameriera. Dato - ma sarebbe più corretto dire “venduto” - in adozione ad una cinica vedova in cambio di un sostanzioso vitalizio, Patrick cresce con uno spasmodico desiderio di diventare donna e di incontrare prima o poi la sua vera madre, di cui sa solo che è fuggita a Londra per cercare fortuna. Mentre l’IRA miete vittime in Irlanda e lo spettro del terrorismo si fa via via sempre più incombente, Patrick, divenuto Kitten, si trasferisce nella Swinging London alla ricerca della madre e di un posto in cui le sue stravaganze vengano finalmente accettate e comprese. E’ l’inizio di una serie infinita di peripezie…

Originale e intrigante, ma anche decisamente ardita e a tratti sconclusionata, la trama, raccontata così, sembrerebbe per certi versi una via di mezzo tra Hedwig and the Angry Inch e Millions. Come in Hedwig, assistiamo alle mirabolanti e deliranti avventure, in stile musical, di un travestito che in apparenza vuole diventare famoso, ma in fondo desidera solo essere amato. Come in Millions, il protagonista è un ragazzino – che qui però cresce e cambia sesso! - sognatore e naif che ha visioni continue, vive più nella fantasia che nella realtà e sogna di rivedere un giorno la madre (nel film di Boyle è morta, in questo è fuggita dopo il parto).

Per fortuna, rispetto ad Hedwig e Millions, Breakfast on Pluto si rivela infinitamente più visionario ed emotivo, e Neil Jordan, se pure in passato aveva deluso proprio quando più poteva dar sfogo alla sua immaginazione (mi riferisco all’occasione mancata di Intervista col Vampiro), in questo caso ha deciso finalmente di dare briglia sciolta alla propria fantasia.

Tra maghi manipolatori, killer di prostitute, insoliti carcerieri, improbabili spie, numeri musicali e uccellini che parlano, il risultato è un film così kitsch, camp, colorato e sconclusionato che a confronto Almodovar sembra Ozu.

Eppure, a ben vedere, Breakfast on Pluto è non solo assolutamente coerente con la poetica e l’universo filmico di Jordan ma, anzi, richiama direttamente le sue due opere artisticamente più riuscite. Come ne La moglie del soldato, infatti, abbiamo anche qui due tematiche dissonanti come travestitismo e terrorismo intrecciate in un’insolita e affascinante combinazione (ma in quel caso si giocava sull’effetto a sorpresa, in questo su un contrasto continuo tra i due aspetti). E come in Butcher Boy, abbiamo un ragazzino visionario alla prese con una dura e deprimente realtà familiare e l’elogio della fantasia come unica arma contro il rigore oppressivo della società in cui viviamo (del resto, sia Breakfast on Pluto sia Butcher Boy sono tratti da due romanzi di Pat McCabe).

Ma il vero punto di forza del film – il che, francamente, è una novità per Jordan – sta nella colonna sonora. La musica ha infatti un ruolo essenziale in Breakfast on Pluto, poiché Patrick “Kitten” Brady, nella sua ingenuità e innocenza, è convinta di vivere nei testi delle canzoni d’amore, e interpreta il mondo di conseguenza (il titolo stesso del film è una canzone degli anni ’70 di Pat Patridge, così come The Crying Game - titolo originale de La moglie del soldato – era una canzone pop inglese degli anni ‘60). Non solo. Il campionario musicale scelto da Jordan è talmente travolgente e coinvolgente - dalla melodrammatica “Honey” all’esplosione glam di “Children of the Revolution”, dal patetismo di “Feelings” al pop retrò di “Sugar Baby Love”, da un coro di Handel a Van Morrison - da riuscire nell’ardita impresa di legare tra loro temi e stati d’animo completamente diversi.

Così, destreggiandosi abilmente tra tragedia e commedia e calando la storia – non a caso – nel cuore degli anni ‘70, Neil Jordan rivela, in ultima analisi, l’insanabile conflitto tra fantasia e repressione, attraverso il contrasto incolmabile, e al tempo stesso profondamente rivelatore, tra un travestito naif alla ricerca incondizionata d’amore e una nazione consumata dall’odio di una guerra fratricida.
 

Marcello Paolillo lavora per diversi anni come giornalista per TELE+ e come Acquisition & Production Manager per Eagle Pictures. Attualmente vive a New York, dove è Acquisition Consultant per Nexo e corrispondente per il sito IONCINEMA.com. Ha inoltre lavorato alla produzione del documentario di Martin Scorsese My Voyage to Italy  e alla preproduzione del nuovo film di Alfonso Cuaron Children of Men. Laureato in Letteratura, è autore del libro Il Cinema di Jane Campion (Falsopiano).