NOTIZIE

Blueberry

Un western esistenziale carico di effetti speciali. Dal regista di "Dobermann" con Vincent Cassel, Juliette Lewis e Michael Madsen

Blueberry

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Di Jan Kounen; con Vincent Cassel, Juliette Lewis, Michael Madsen, Ernest Borgnine, Djimon Hounsou


Il giovane Mike Bluberry (Vincent Cassel) vede morire la sua amata per mano del feroce killer Blount (Michael Madsen). Salvato dalla tribù indiana dei Chiricaua, viene curato ed accudito per molti anni, e soprattutto iniziato alle pratiche dello sciamanesimo.

Tornato in età adulta nella città di Palamito, Blueberry in qualità di sceriffo deve cercare di mantenere l’ordine tra i cittadini e soprattutto l’equilibrio della convivenza tra bianchi ed indiani. Troppi loschi personaggi sono però attratti sia dall’oro delle montagne sacre dei Chiricaua che dalle loro pratiche magiche, e proprio Blont torna dal passato e dagli incubi di Blueberry per arrivare al prezioso bottino. Toccherà proprio al giovane pistolero salvare le due comunità a cui appartiene dalla minaccia del suo nemico. Ad aiutarlo, la bella ed imperterrita figlia del signore di Palamito.

Per molto tempo ci siamo chiesti perché questo in teoria stuzzicante western di origine francese fosse arrivato con così pesante ritardo nelle nostre sale. Dopo aver visto il film, ci chiediamo invece perché alla fine ci sia arrivato…

Insensato polpettone che mescola senza ritegno filosofia animista e visionarietà da videoclip, genere codificato e “new” age”, “Blueberry” è un’operazione talmente sovraccarica di elementi da andare subito in overdose, non permettendo allo spettatore una qualsiasi possibilità di entrare nel film. Dopo l’istrionismo compiaciuto di “Dobermann” (id., 1999), Jan Kounen si conferma un regista di assoluta superficialità, capace di mettere in scena un lungometraggio affidandosi soltanto ad una presunta cifra stilistica, che altro non è se non una furba copertura che testimonia la mancanza di un’idea coerente di cinema.

Questo western esistenziale si tramuta perciò in una specie di film di effetti speciali senza che in realtà ce ne fosse alcun bisogno: nel rappresentare la filosofia e le pratiche dello sciamanesimo sarebbero state probabilmente più efficaci la rarefazione e la stilizzazione propria dei grandi western degli anni ’70, al posto del video stile MTV che Kounen ci propina per tutto il film. Ma che senso ha vedere ogni cinque minuti un tripudio di imbellettamenti ricreati al computer? Se almeno questa pacchianeria fosse stata inserita in una storia dotata di una sua logica, e di un conseguente e solido sviluppo narrativo, almeno lo avremmo sopportato aggrappandoci al genere che tanto ammiriamo. E invece no: “Blueberry” è un lungometraggio senza un briciolo di struttura –e dire che tra gli sceneggiatori figura il grande Gerard Brach! -, che vegeta ed avanza senza senso o speranza di trovarne, scivolando irritante lungo l’ovvietà di personaggi e situazioni. In un’estate italiana che, almeno sulla carta, si preannuncia più interessante del solito, la visione di quest’orrendo film potrebbe essere usata come prova a favore della chiusura estiva delle sale…