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Alla porta di Wenders

Una volta Wim Wenders ha detto che non gli piace fotografare le persone perché significa fotografare persone che ti guardano. Preferisce sorprendere i personaggi da dietro o osservarli che camminano. Dopo quasi quarant'anni da regista non si è stancato di seguire le sue storie

wim wenders

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Stavolta pedina una vecchia star del cinema western.  Stetson calcato in testa e inclinato un po’ in avanti per non mostrare mai lo sguardo. Il cappello da cow-boy legato all’immaginario di John Wayne, Gary Cooper o Tex non abbandona mai Howard Spence (Non bussare alla mia porta).  Silenzi sospirati e una storia alle spalle scritta tutta in faccia dalle sue loquaci rughe. Per saperlo non bussate però alla sua porta, non vi aprirà mica Howard. Ha avuto giorni migliori. Decaduto da un’effimera celebrità ora è triste, solitario y final, e si ritrova all’ultima interpretazione della sua vita. Scappa dal set galoppando via in sella al cavallo del suo film. Scompare. Cancella ogni sua traccia. Si traveste e torna nel Nevada dalla madre 80enne. Il passato lo attende.

Dove l’han preso tutto quell’azzurro? L’ultimo romantico del western è incarnato da Sam Shepard. E se lo gode tutto, firma il soggetto insieme a Wenders e si cuce addosso la sceneggiatura che preferisce. Il regista di Düsseldorff si occupa di amalgamarlo con il suo prediletto paesaggio umano e naturale americano (Paris, Texas soprattutto). Cieli enormi che vien da chiedersi da dove l’han preso tutto quell’azzurro. Limbi bianchissimi di nuvole perse tra le strade solitarie e polverose. Wenders riesce ancora nel suo pezzo forte, donando la parola ai panorami che si esprimono ad alta voce. E cerca così la sua ennesima ballata per immagini (Certo, Bono Vox gli allunga sempre un paio di note che non guastano).

Un autore fa sempre e costantemente per tutta la carriera un solo film. Certo ci sono differenze tra il primo Wenders tedesco, quello americano e quello europeo. Tuttavia gli archetipi che costituiscono le fondamenta dei suoi film paiono sempre le stesse. La Trilogia della strada (Alice nelle città, Falso movimento e Nel corso del tempo) con la sua tematica del viaggio si sedimenta in tutto il suo cinema. Wenders dilata sempre la rappresentazione, delega la storia ad un livello secondario e contempla i paesaggi (che siano naturali o cittadini non cambia molto). E’ sempre il suo sguardo intenso a rendere la macchina da presa uno strumento di affezione verso la storia e i personaggi dei suoi film. E’ sempre la stessa colonna sonora (il rock’n’roll) a colorarne la vita. Ha detto Wenders: “Sex & violence non sono mai stati certamente la mia tazza di tè quotidiana; stavo più spesso in mezzo a sax & violins”.