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Cannes: The Sea of Trees di Gus Van Sant delude

Non basta Matthew McConaughey per far funzionare questo concentrato di stereotipi hollywoodiani sulla famiglia e il Giappone

The Sea of Trees

17.05.2015 - Autore: Pierpaolo Festa
C'è un momento che arriva alla fine del secondo atto di “The Sea of Trees” in cui lo spettatore rischia di essere sbalzato fuori dal film improvvisamente: la scena dell'ambulanza, che non vi raccontiamo. Vi basti sapere che ha rappresentato un check out istantaneo per noi che lo abbiamo visto sulla Croisette. L'errore narrativo definitivo, quello che rivela il nuovo lavoro di Gus Van Sant per quello che è davvero: il suo film più deludente.

Un'ora prima le luci si erano spente a Cannes - dove il film viene presentato in Concorso - e tutto quello che ci auguravamo per questa storia di un americano che vuole trovare la morte nella foresta Aokigahar - il “mare di alberi” del titolo - era che Gus Van Sant si avventurasse tra quei boschi senza rivisitare la cultura giapponese stereotipandola attraverso il tocco mainstream che avvolge la confezione di questo progetto. Questo non succede. Nella prima mezz'ora.
 
Inizialmente sembra che il regista trovi un ottimo equilibrio sfoderando il suo brillante talento di cineasta indipendente con un compromesso hollywoodiano (un po' come aveva fatto con “Will Hunting”) fatto di musiche melodrammatiche che si adattano ai primi piani della star protagonista. I primi minuti silenziosi del film sono bellissimi, con l'ingresso nella foresta “da horror” che strizza l'occhio perfino a “The Walking Dead”. Lì Van Sant ci immerge in un'atmosfera di morte, ed è l'ultima cosa buona che fa nel suo film.

Sullo schermo Matthew McConaughey prova a regalarci un'altra performance memorabile, dopo l'Oscar e dopo l'avventura spaziale di Nolan, peccato però che in poco tempo il film inizi a imbarcare acqua più velocemente del Titanic: da aspirante suicida, il protagonista deve mettere in pausa i suoi desideri di morte per aiutare un altro uomo che vaga nella stessa foresta e che vuole uscirne. La motivazione che guida il film viene abbandonata quasi all'istante e a quel punto Van Sant ricorre a una serie di flashback per approfondire il personaggio dell'americano, esplorando la ragione che lo ha portato nei boschi,: la sua crisi matrimoniale. La coppia Matthew McConaughey/Naomi Watts si sforza di essere credibile e convincente perfino nelle battute più deboli. Arrivato a quel punto, però, il film scivola inesorabilmente nella melassa, finendo per assomigliare a una parodia di un romanzo di Nicholas Sparks.

Ciò che temevamo all'inizio si manifesta: “The Sea of Trees” diventa un viaggio introspettivo superficiale inserito in una cornice giapponese, ma annacquata alla maniera di Hollywood. Nel terzo atto, in cui Van Sant ha totalmente perso la nostra attenzione, il regista si avventura alla cieca sfruttando simbolismi e antiche leggende nipponiche, sovrapposte al prodotto finale in maniera frettolosa. E confermando l'impressione di aver assistito a uno dei punti più bassi della sua carriera.
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