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Zonca nel segno di Cassavetes

I due lungometraggi più importanti della giornata di sabato hanno in comune il tema dell'infanzia strappata ed infelice, si tratta dei film "Julia" e "Garden of the Night".

Julia

11.02.2008 - Autore: Adriano Ercolani
Uno dei film in concorso più attesi dell’intera rassegna è stato “Julia”, prima opera in lingua nglse di quel Erick Zonca che nel 1998 con lo splendido “La vita sognata degli angeli” (La Vie rêvée des anges,    La, 1998), aveva regalato alle due protagoniste Natacha Régnier ed Elodie Bouchez la Palma d’Oro a Cannes. Ed anche l’eroina maledetta di questo nuovo lavoro, l’aggressiva Tilda Swinton fresca di nomination all’Oscar, sarà sicuramente tea le favorite per la vittoria del premio come miglior attrice quest’anno a Berlino, in quanto sfodera un’interpretazione tuta istrionismo e teatralità, fagocitando una pellicola che a forza di starle dietro perde il filo del discorso.

Il regista non ha nascosto il debito che il suo film ha nei confronti del cinema “vivo” di John Cassavetes, ma in questo caso si è quasi passati dall’influenza alla scimmiottatura. Il referente principale è ovviamente un capolavoro indiscusso come “Gloria – Una notte d’estate” (Gloria, 1980), ma dove Cassavetes riusciva nell’intento di controllare con la forza della messa in scena la materia che si presentava davanti la macchina da presa,  e soprattutto la forza prorompente di Gena Rowlands, nel caso di “Julia” assistiamo invece ad un’attrice che straborda e letteralmente devasta il film, che peraltro di poggia su una sceneggiatura troppo lunga (140 muniti!) ed in alcuni casi retta da snodi logici abbastanza ridicoli. Anche i passaggi dalle scene più dure ad altre molto votate alla leggerezza sono del tutto forzati, ed il risultato finale ottiene il solo effetto di infastidire ad in alcuni tratti annoiare.

Differente è invece il risultato ottenuto da Damian Harris con “Gardens of the Night” (id., 2007), storia durissima di due bambini che vengono rapiti e strappati alla loro vita, e della difficile strada verso il reinserimento in una società che li ha forse dimenticati. Il film non è di certo perfetto, ed in qualche momento eccede in accenti lirici, ma nella maggior parte del tempo invece si mantiene su livelli di sobrietà e sincerità molto difficili, soprattutto per la durezza del tema trattato. Harris prova con costanza a mantenere un tocco registico non invasivo ma neppure edulcorato dei momenti più forti, e riesce ad ottenere un effetto straniante che alla fine fa lava sullo spettatore pur non ricattandolo con i facili stilemi del melodramma.

Pur non essendo del tutto equilibrato, “Gardens of the Night” ha comunque il pregio di non essere un film ricattatorio, e questo in virtù soprattutto di una sceneggiatura sensibile ed attenta ai rimandi psicologici accennati e non esplicitamente sottolineati. Un film difficile ma non ovvio, che probabilmente dividerà pubblico ed addetti alla critica.