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Vorrei la critica dalle 9 alle 5...

Iniziamo tutti a trattare la critica come un lavoro vero e proprio e risolveremo molti dei nostri problemi

Nuovo cinema paradiso

14.05.2012 - Autore: Adriano Ercolani
In questi ultimi giorni ho seguito con molto interesse il dibattito suscitato dall'articolo di Paolo Mereghetti sullo stato della critica cinematografica in Italia. L’ottica con cui è stato affrontato il discorso da parte di tutti i partecipanti è senz’altro valida ma allo stesso tempo mancante di una questione fondamentale: quello del critico cinematografico è a tutti gli effetti un mestiere, o almeno come tale andrebbe trattato in un sistema lavorativo teoricamente funzionante. Accettarlo come tale da parte di tutti i partecipanti alla polemica sarebbe una grande passo avanti, vorrebbe dire comprendere che tra passione e professione devono essere fatte distinzioni fondamentali. Proviamo magari anche solo a “immaginare” il critico cinematografico come un lavoro: cosa è necessario per praticarlo?

Critica cinematografica italiana polemiche Mereghetti Marco Giusti - Una scena da Jules e Jim

1 – PREPARAZIONE. La stragrande maggioranza dei lavori prevede una preparazione specifica fatta di studio, apprendistato, tirocinio e numerosi altri fattori. Perché non dovrebbe essere così per chi si occupa di cinema? Per valutare con pienezza un film bisogna conoscere la storia del cinema: senza la possibilità di contestualizzare la singola opera, di trovare eventuali riferimenti estetici e/o narrativi che la inseriscano o anche soltanto la rimandino al passato, si rischia di scambiare per novità quella che è semplice riproposizione, imprecisione a mio avviso costante in chi si è avvicinato alla critica cinematografica negli ultimi dieci, quindici anni. Molto spesso ho l'inquietante sensazione che la generazione (termine pessimo, ma non trovo sinonimi adeguati) di critici successiva alla mia non riesca o peggio ancora non voglia guardare al cinema precedente Quentin Tarantino. Senza una conoscenza il più possibile completa di un'arte che si è sviluppata in più di cento anni invece che soltanto negli ultimi venti, l'analisi del testo filmico rimarrà comunque deficitaria. Lo sdoganamento del cosiddetto cinema di serie B avvenuto negli ultimi tempi, unito all'"esplosione" mediatica della nostra era, hanno obiettivamente portato a una sorta di legittimazione nel fare "critica cinematografica" che è fuorviante. Come ovviare a tutto questo?

2 – IL POSTO DI LAVORO. Non è assolutamente mia intenzione biasimare tutti quelli che, per amore della critica e della scrittura, esercitano il loro sacrosanto diritto di espressione su siti internet, blog, social network, piccole riviste ecc. Va altresì sottolineato che scrivere è una questione, lavorare tutt'altra. Un processo che quindi mi piacerebbe avvenisse in tempi brevi è quello che vede giornali, riviste, siti e altri organi d'informazione cercare nel panorama della "nuova critica" e dare ai più preparati la possibilità di confrontarsi con il lavoro, che torno a ribadirlo è tutt'altra questione. Certo lo spazio a disposizione (e anche la vivacità della professione) aumenterebbe se in Italia venisse applicato il più normale dei fenomeni legati al mondo del lavoro...

Critica cinematografica italiana polemiche Mereghetti Marco Giusti - Una scena da Pulp Fiction

3 – IL RITIRO. Se prima ho più o meno benevolmente “bacchettato” chi non sembra conoscere il cinema prima dello spartiacque "Pulp Fiction", allo stesso modo mi trovo a constatare che molti dei critici appartenenti alle generazioni precedenti la mia sembrano non conoscere quello che è successo dopo il periodo della Nuova Hollywood. In un secolo abbondante la Settima Arte si è evoluta con una velocità che va ben oltre la nostra percezione, soprattutto diramandosi attraverso contaminazioni mediatiche che io stesso, a 38 anni, non sempre riesco ad analizzare con totale comprensione. Per fortuna (o purtroppo, dipende dalla pigrizia mentale di chi esercita) la critica ben fatta richiede un continuo processo di studio e aggiornamento, e bisogna ammettere che coloro che hanno vissuto in prima persona le trasformazioni più recenti partono avvantaggiati. Perché quindi non lasciare il dovuto spazio a chi è in grado di comprendere più a fondo l'era contemporanea e "ritirarsi" al ruolo di grandi amanti di cinema? Quanti artisti immensi hanno concluso la loro creazione artistica perché non più al passo coi tempi? E’ un processo strutturale del mondo del lavoro che credo debba funzionare anche per la categoria del critico cinematografico. Il valore reale sta in ciò che si è prodotto quando si è avuta la possibilità di farlo. E qui entriamo in merito alla questione più spinosa...

Critica cinematografica italiana polemiche Mereghetti Marco Giusti - Una scena da Il settimo sigillo di Bergman

4 – IL SERVIZIO OFFERTO. La battaglia ideologica scatenatasi tra i sostenitori di Paolo Mereghetti e quelli di Marco Giusti – gli schieramenti non sono così netti e definiti, ci mancherebbe, ma adoperarli come tali può facilitare la comprensione del quadro - pur centrando alcuni aspetti molto importanti riguardanti lo stato della critica italiana di oggi, secondo me però non focalizza il nucleo più importante dell'intero discorso. Non si tratta tanto di stabilire se il cinema migliore è quello di Michelangelo Antonioni o Nando Cicero, oppure se il critico più bravo incensa Bergman o idolatra "Cannibal Holocaust". Io rimango assolutamente convinto che svolgere al meglio questo mestiere significa spiegare in maniera più chiara ed esauriente possibile al committente le proprie idee sul cinema, si tratti di un film, un cineasta o un periodo storico. Si dovrebbe fornire un servizio di analisi e insieme informazione che metta in condizione il “pubblico” di usufruire con facilità di un’opinione. Che poi tale compito venga svolto adoperando anche i propri gusti personali oltre le acquisite capacità analitiche di base io la trovo una cosa sacrosanta. C'è però da osservare che alcuni schieramenti oggi sembrano essere diventati eccessivamente fanatici: qualcuno mi spieghi perché chi si diverte con un horror italiano di Lucio Fulci poi non possa o peggio ancora non debba apprezzare anche un film di Nanni Moretti, tanto per citare alcuni nomi paradigmatici. Ecco, questa faziosità mi pare sinceramente immatura e soprattutto controproducente allo stato della nostra critica. Per quanto mi riguarda il dogmatismo, insieme all'autoreferenzialità, sono i segni più tangibili di mancanza di professionalità. Altra questione molto importante: i gusti cambiano. Se gli stessi artisti possono a buon diritto attraversare varie fasi della loro produzione, perché chi li giudica non dovrebbe poter cambiare le proprie preferenze? Quelli che devono rimanere costantemente funzionali sono gli strumenti di analisi di un film, gli esseri umani sono legittimamente mutevoli. E un critico cinematografico, salvo rarissime eccezioni, "E’ un essere umano" (è una citazione, siate gentili...).

Per quanto piuttosto utopica, soprattutto per i tempi che corrono, la mia "ricetta" per risolvere la querelle sulla critica cinematografica italiana è quindi trattarla in tutto e per tutto come una professione. Preparazione, possibilità di esercizio, aggiornamento e guadagno, infine ritiro a un'età appropriata. A questo punto il dubbio che resta è: quanti di noi appoggerebbero tale sistema?