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Top Five: Cuore e acciaio

Esce "Real Steel", noi vi parliamo di cinque robot che hanno scoperto cosa significhi amare

Real Steel

25.11.2011 - Autore: Marco Triolo
Dopo il successo di “Transformers” e dei suoi seguiti, gli Studios hollywoodiani hanno iniziato a fare a botte per accaparrarsi i diritti su qualsiasi storia che avesse come protagonisti dei robot. “Real Steel”, in uscita questa settimana, è solo il primo esempio di una serie di titoli che raggiungeranno le sale nei prossimi anni. Per l'occasione, abbiamo deciso di scovare quelli che per noi sono i cinque robot più “amorevoli” della storia del cinema. Tralasciando dunque gli esseri sintetici in cui la natura è più biomeccanica che robotica (pensiamo al Bishop di “Aliens” e al Roy Batty di “Blade Runner”), ci concentreremo sui casi in cui un ammasso di chip, hard drive e schede madri arriva a elaborare qualcosa di simile all'amore e all'empatia. Seguiteci.

Il gigante di ferro

5. Il gigante di ferro, da “Il gigante di ferro”
Prima di diventare uno dei nomi di punta della Pixar (e di dirigere “Mission Impossible: Protocollo fantasma”), Brad Bird realizzò questa toccante storia d'amicizia tra un ragazzino e un gigantesco ma amichevole robot alieno (doppiato da Vin Diesel), che si scontra con l'esercito e la stupidità umana e alla fine diventa un eroe. Bird scelse di ambientare il film, liberamente tratto dal romanzo per ragazzi “The Iron Man” di Ted Hughes, nell'America degli anni Cinquanta, un periodo dominato dalla paranoia, in cui “rischiavamo tutti di morire di paura”. Ne risulta un racconto morale sull'accoglienza del diverso che è ancora molto efficace.

Johnny 5

4. Numero 5, aka Johnny 5, da “Corto circuito”
Gli anni Ottanta furono un'epoca unica per il cinema americano, fatta di pellicole che univano commedia, fantascienza e fantasy, realizzate con grande maestria di scrittura e regia. Tra queste, forse una delle più snobbate è “Corto circuito”, simpatico film per famiglie diretto da John Badham, che raccontava di Numero 5, un robot creato per scopi bellici che sviluppava una propria personalità dopo essere stato colpito da un fulmine che gli donava accidentalmente la vita. In barba alla programmazione originale, Numero 5 imparava ad amare la vita, anziché a volerla distruggere. Ancora una volta un robot si fa portavoce di un messaggio di pace, che all'epoca non guastava mai.

Wall-E

3. Wall-E, da “Wall-E”
E' forse il film più all'avanguardia della Pixar, talmente avanti da non essere stato compreso dai più. Perché Wall-E”, diviso tra un primo tempo senza dialoghi e un secondo più canonico, è concettualmente ed esteticamente una sfida alle regole. Primo perché pone al centro della storia i robot, mentre gli umani vengono rappresentati come goffi e viziati ammassi di ciccia (ma per loro c'è infine il riscatto). In secondo luogo, perché c'è una ricerca maniacale nel look dei personaggi meccanici, dall'antiquato Wall-E (omaggio al Numero 5 di “Corto circuito”) alla fredda Eve, che pare uscita da un sogno proibito di Steve Jobs. Al di là di tutto ciò, “Wall-E” scalda il cuore, soprattutto grazie al suo dolcissimo protagonista: impossibile non amare quegli occhioni!

Edward Furlong e Arnold Schwarzenegger in Terminator 2

2. T-800, da “Terminator 2”
Se nel primo “Terminator” il T-800 di Arnold Schwarzenegger era il cattivo, in “Terminator 2James Cameron si gioca una delle inversioni narrative più famose della storia del cinema, e ce lo presenta come un angelo custode con l'endoscheletro di metallo. Come nota Sarah Connor a un certo punto, il Terminator ha assunto per il piccolo John un ruolo paterno. Schwarzy ci mette del suo e umanizza via via la gelida macchina: prima lo vediamo sorridere, ma è nel gran finale che si esplicita la sua presa di coscienza, quando l'androide si sacrifica per salvare il mondo da un letale paradosso temporale.

C3-PO e R2-D2

1. C-3PO e R2-D2, da “Guerre stellari”
Sono un po' gli Stanlio e Ollio della robotica, questi due, ed era impossibile parlare di uno senza menzionare l'altro. C-3PO e R2-D2 (da noi ribattezzati D-3BO e C1-P8 nella prima trilogia) sono perfettamente definiti nei loro caratteri: uno è l'affettato interprete, una sorta di maggiordomo inglese che non ama per nulla l'avventura. L'altro è uno scaltro barattolo ambulante sempre in cerca di guai. Come sempre, gli opposti si attraggono e si completano, ed è commovente vedere come i due arrivino a comprendersi perfettamente e a stringere un legame d'amicizia che nemmeno le battaglie o gli anni luce potrebbero spezzare.

Real Steel” è distribuito nelle sale italiane da Walt Disney. Qui trovate l'intervista al regista Shawn Levy.