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The Truman Show 20 anni dopo, il grande film con Jim Carrey non è invecchiato di un giorno

Era il 5 giugno del 1998 e Carrey dimostrava al mondo di essere uno dei più grandi attori viventi

03.06.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Tutto vero, tutto falso. Lo abbiamo letto sulla locandina di Loro 1, il primo capitolo del dittico su Berlusconi di Paolo Sorrentino: il politico contro l'uomo, le apparenze contro la verità, in un mondo in cui le persone sono costantemente controllate. La televisione sposta le masse e la rete è ormai come una droga: non si può farne a meno. I contenuti sono veloci, liquidi, e le telecamere sono ovunque: all'angolo della strada, sopra la farmacia e nei nostri telefoni. Lo aveva già capito George Orwell nel 1949, narrando di un Grande Fratello che controllava i popoli nel suo capolavoro 1984. Immaginava un futuro distopico, dove la libertà veniva sacrificata in nome di una "finta" pace. Su quella scia, il 5 giugno 1998, usciva nelle sale USA The Truman Show, per la regia di Peter Weir


 
È la storia di Truman Burbank, un Jim Carrey particolarmente ispirato, che abbandonava le note demenziali per l'ingenuità. Niente è reale attorno a lui, vive in un reality show, dove anche la sua ragazza recita una parte. Sono attori pagati dalla produzione, per aumentare l'audience in un sistema in cui l'indice degli ascolti è più importante dell'essere umano. Quella di Truman è una gabbia dorata in cui pensa di essere felice. Diventa un prigioniero delle logiche di mercato, della totale mancanza di privacy. Lui è la vittima, il pubblico gli aguzzini, perché non riusciamo a smettere di guardare, a trovare la forza di spegnere gli schermi che ci circondano. Le sbarre sono quelle di una società di maschere, dove regna la menzogna, dentro e fuori la rappresentazione. 

Peter Weir gira il film con grande intelligenza, dosando lo humour e le sequenze drammatiche. Mette in scena un attacco alla globalizzazione, all'incapacità di alzarsi la mattina senza essere schiavi delle immagini. Abbiamo bisogno di essere sempre connessi, di sapere tutto in tempo reale, dimenticandoci degli affetti e dei problemi del quotidiano. Ci affidiamo a universi paralleli per paura di dover affrontare le nostre preoccupazioni più profonde. L'unica soluzione è ribellarsi, riscoprire l'importanza dei piccoli gesti, come fa Truman mettendosi in gioco e sfondando le barriere che gli erano state create a sua insaputa. 


The Truman Show ha stupito nel 1998 e, a vent'anni di distanza, colpisce per la sua attualità. Non è invecchiato, anzi sembra fatto oggi, e solleva nuove domande e spunti di riflessione. Rappresenta una dei punti più alti della carriera di Weir, un incubo molto colorato che dietro ai sorrisi vede allungarsi le ombre del nostro tempo. L'intrattenimento si fonde con l'autorialità, e in lontananza si sentono gli echi di Picnic ad Hanging Rock, con quella roccia che si slanciava verso il cielo alla ricerca di un'altra vita, di un punto di incontro tra natura e divino. Qui la tecnologia non migliora l'esistenza, ci spinge verso il basso, ci chiude in casa invece di aprire gli orizzonti. La magia è fuori e anche noi, come Truman, dovremmo lasciare il nostro "studio televisivo" per riscoprire che cosa sono i veri sentimenti.