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Stasera in TV, 22 marzo: Incontri ravvicinati del terzo tipo, uno Spielberg da antologia

Grande fantascienza, avventura e fiaba in uno dei capolavori del regista americano, un film intimista e ottimista che racconta il primo contatto tra umani e alieni

Incontri ravvicinati del terzo tipo

22.03.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
La notte di LaEffe si tinge di fantascienza con uno dei capolavori di Steven Spielberg, Incontri ravvicinati del terzo tipo. Un film da recuperare assolutamente, uno dei più ottimisti e intimisti esempi di fantascienza del 20° Secolo.
 
Il film. Diverse storie si intrecciano in una zona rurale degli Stati Uniti: dopo aver incontrato un UFO, l'elettricista Roy Neary (Richard Dreyfuss) inizia ad avere strane visioni, è ossessionato da un'immagine che continua a riprodurre, quella di uno strano monte. La stessa immagine che vede la madre single Jillian Guiler (Melinda Dillon), il cui figlio piccolo Barry (Cary Guffey, lo stesso di Uno sceriffo extraterrestre) è stato rapito dagli alieni. Insieme, si avventureranno fino al Wyoming, in un'area messa in quarantena dal governo. Lì scopriranno che l'umanità sta per entrare in contatto con una razza di alieni evoluti e pacifici, un primo incontro orchestrato dallo scienziato francese Claude Lacombe (François Truffaut).

 
Dietro le quinte. Influenzato dal Progetto Blue Book (con cui l'aviazione americana investigò sul fenomeno UFO) e dal suo primo film da regista Firelight (realizzato in maniera amatoriale quando aveva 17 anni), Spielberg scrisse personalmente Incontri ravvicinati del terzo tipo dopo aver lavorato a varie stesure con, tra gli altri, lo sceneggiatore di Taxi Driver, Paul Schrader. Il successo de Lo squalo gli diede infine il potere di realizzare il film come voleva lui: lasciatosi alle spalle quelle sceneggiature, che puntavano a creare un'avventura alla Bond, Spielberg diede forma a una vera e propria fiaba su pellicola, recuperando svariate scene dal suo Firelight e facendosi influenzare da “When You Wish Upon a Star”, il brano portante della colonna sonora del Pinocchio Disney, che ha anche peso narrativo nel film.
 
Perché lo amiamo. Perché, detto senza mezzi termini, è un capolavoro. È, insieme a E.T., il film più ottimista di Spielberg, mescola con enorme abilità thriller di fantascienza, complottismi vari, toni fiabeschi e persino tocchi horror (la scena dell'abduction del piccolo Barry è dura da sostenere per un bambino), realizzando qualcosa di unico, un film appassionante e commovente che prospetta un futuro radioso per la nostra specie, antidoto perfetto a questo cupo momento storico. E poi Richard Dreyfuss (alter ego del regista) e il grande Truffaut (morto poco dopo) volano alti facendoci sognare a occhi aperti con le loro interpretazioni da "adulti-bambini", abbastanza puri da poter ancora vedere e riconoscere la magia della vita.

 
La scena da antologia. Il già citato rapimento del piccolo Barry è qualcosa di indimenticabile. Ma anche il finale, con il primo contatto tra umani e alieni e l'extraterrestre animato dal grande Carlo Rambaldi, non scherza.