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Sharif: trionfa la grazia

È davvero un piacere che oggi, a Venezia, Omar Sharif venga premiato con un Leone d'Oro alla Carriera. Lo straordinario attore egiziano, dopo una vita passata tra il set, il lusso, le donne e le sale d'azzardo, è sbarcato al Lido con lo sguardo melanconico e misterioso di sempre, a ritirare un premio prestigioso e a presentare un film bello, toccante, pieno di grazia.

Omar Sharif

12.04.2007 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
"Io non sono arabo, Momo" "E perché papà mi dice sempre: vai dall'arabo?" "Perché è un arabo chiunque tenga aperto il negozio dalle otto a mezzanotte. Semmai anche di domenica". A rue Blue - Parigi anni '60 - un vecchio musulmano sufi di origine turca scruta con occhi acquosi Moise, tredicenne ebreo che cresce, quasi solo, nella casa di là della strada. Parla poco, il vecchio. Ma le sue sono parole pesanti, forti, piene di una vitalità che cresce nel petto del ragazzo senza trovare ostacoli. Poco a poco, senza fretta, il Moise che prepara la cena al padre stanco e depresso che quando rincasa spegne subito la luce e chiude gli scuri, quel Moise che di giorno osserva dalla finestra le ragazze prostituirsi eppoi scende per conoscerle meglio, Moise, ebreo senza religione, figlio senza famiglia, diventa pian piano Momo. Un nome meno altisonante, come gli spiega il vecchio. Un nome che può rispondere meglio alla lentezza necessaria per capire la potenza di un sorriso. E che può accogliere più adeguatamente il vero affetto che invece Moise non aveva mai potuto ricevere.   È davvero un piacere che oggi, a Venezia, Omar Sharif venga premiato con un Leone d'Oro alla Carriera. Lo straordinario attore egiziano, dopo una vita passata tra il set, il lusso, le donne e le sale d'azzardo, è sbarcato al Lido con lo sguardo melanconico e misterioso di sempre, a ritirare un premio prestigioso e a presentare un film bello, toccante, pieno di grazia. "Monsieur Ibrahim e il fiore del Corano" di Francois Dupeyron è infatti molto più che un film forte adatto al momento storico. L'amicizia tra un musulmano e un ebreo non esaurisce affatto l'intensità degli affetti che percorrono i novantacinque minuti di proiezione. Tolleranza e riconoscimento reciproco non bastano per spiegare quel che accade tra il vecchio e Momo. L'uno, improvvisamente aperto a donare tutto quel che ha "nel suo piccolo Corano", ovvero il segreto della felicità. L'altro, improvvisamente maturo per raccogliere, nutrire e far crescere quanto riceve.   Che siano gli occhi di Omar Sharif a dominare lo schermo durante la proiezione di "Monsieur Ibrahim e il fiore del Corano" non sorprende. Semmai sorprende che a reggere il confronto sia il giovane Pierre Boulanger. Un ragazzino capace di mostrare con estrema leggerezza passaggi fondamentali nella crescita di un'amicizia e nella maturazione di una personalità. Momo che si guarda allo specchio, che rompe il salvadanaio, che dà prova del suo coraggio. Momo che ruba le scatolette nel negozio del vecchio e che scappa o torna da lui con il medesimo slancio. Momo che aiuta il vecchio a superare l'esame della patente e che poi parte insieme al nuovo padre in un viaggio iniziatico alla scoperta del mondo. La grazia con cui dialoghi, sguardi, gesti districano le atmosfere di questo film è il miglior viatico oggi al primo Leone. Alla premiazione di un attore la cui immagine resta indimenticabile in un'antica carrellata d'immagini in cui ancora una volta era la grazia a rendere sopportabile l'intensità dei sentimenti. Gli occhi di Omar Sharif pieni di luce tragica. Gli occhi di un uomo che, dietro al finestrino di un tram, guarda con passione mista ad orrore la donna che ama e che non riuscirà più a raggiungere. L'uomo "di Pasternak" che muore a un passo dal sogno.