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Rolando Ravello, da serial killer a pater familias

Bif&st: i regali ricevuti da Scola, la trasformazione in mostro all'epoca di Almost Blue, il sesto senso di Procacci e le palle di Giallini. L'intervista esclusiva

Tutti contro tutti - Rolando Ravello

20.03.2013 - Autore: Pierpaolo Festa
Bari – Si dice che un film sia veramente riuscito solo se fa ridere al momento giusto e piangere al momento giusto. Emozioni che possono manifestarsi nel corso della visione di Tutti contro tutti, uscito nelle sale poche settimane fa e adesso riproposto al Bif&st.

Sono seduto in un Bar con Rolando Ravello per chiacchierare della pellicola che ha anche segnato il suo debutto dietro la macchina da presa. Di quel set e di tanti altri set sui quali Ravello ha lavorato. Chi segue le interviste su Film.it, sa che di solito chiudiamo con la nostra domanda di battaglia incentrata sul poster. Questa volta invece comincio io con una confessione: “Rolando, qualche anno fa avevo in camera un poster dove c'eri tu di spalle, riflesso allo specchio con sguardo minaccioso”. Lui risponde: “Almost Blue. Quello è uno dei più bei poster del cinema italiano degli ultimi anni. Adesso, invece, li fanno tutti uguali”.

Rolando Ravello, da serial killer a pater familias

Parliamo un momento di Almost Blue: quanto è stata dura all'epoca trasformarti in serial killer?
E' stato un lavoro davvero interessante. Quando mi ricapitava di rifare un ruolo così? Mi misi a studiare manuali di psichiatria e guardare tante videocassette su casi psichiatrici di vario tipo. Studiai la schizofrenia e andai a fare un'indagine in ospedale per cercare di “rubare gli occhi” alle persone che avevano compiuto omicidi efferati: cercavo di riprodurre lo sguardo di chi aveva ucciso. Non direi che è stato divertente, ma ho un bellissimo ricordo.
 
Qualche anno dopo, ho noleggiato la videocassetta de Il siero della vanità e dopo pochi secondi ho ritrovato te nello stesso ruolo in un cameo...
E' stata un'idea di Alex Infascelli. Lui voleva che il personaggio di Almost Blue morisse all'inizio di quel film. E' così che in quella prima scena mi scaravento fuori dalla finestra di un palazzo insieme a Margherita Buy. E' stata una sequenza parecchio impegnativa: eravamo appesi su un cavo di acciaio a venti metri di altezza. Io ero in boxer e le auto che passavano mi avranno preso per un grosso geco attaccato al palazzo.

Tredici anni dopo eccoti dietro la macchina da presa per la prima volta nel ruolo di papà. Quanto eri terrorizzato il primo giorno sul set?
Stavo male. Avevo dormivo pochissimo perché ogni volta che chiudevo gli occhi facevo incubi assurdi. Sognavo di arrivare sul set e quando mi chiedevano dove mettere la macchina da presa, facevo scena muta. Era la mia paranoia numero uno. Sì, ero terrorizzato, però poi tutto è andato benissimo.



Come mai ci hai messo sette anni a portare Tutti contro tutti al cinema?
Il progetto era stato pensato come film sin dall'inizio. Scrissi il soggetto insieme a Massimiliano Bruno. Forse all'epoca non avevo nemmeno le credenziali per avere attenzione. Lo portai a teatro come monologo (intitolato Agostino – Tutti contro tutti), finché Domenico Procacci è venuto a vederlo come spettatore. In quel momento siamo tornati all'idea del film. Sono passati sette anni ed è un film al passo con i tempi. Non è proprio una cosa tranquillizzante. Forse mi sarei sentito più tranquillo se fosse stato anacronistico.

Sergio Rubini ha detto che è stato Domenico Procacci a “spingerlo” dietro la macchina da presa. La stessa cosa è accaduta a te. Non credi che sia insolito per un produttore volere così tanto un regista esordiente?
Io credo che Domenico Procacci sia un produttore un po' al di fuori dei canoni. Non a caso viene paragonato spesso a Cristaldi. Il fatto è che ha un rapporto creativo con chi fa il film: è più artista che produttore, una figura curiosa. Quando viene sul set, tutte le volte ti dice una cosa che è sempre giusta e ti fa riflettere. E' raro avere un rapporto così creativo con un produttore. Domenico ha la sensibilità di capire se puoi davvero farcela. Io non volevo dirigere questa storia inizialmente, è stato lui a convincermi.

Dal momento che Ettore Scola è il tuo “padrino” cinematografico, penso che avrai chiesto anche a lui consigli sul film...

Sì certo. Prima, durante e dopo le riprese. Gli ho chiesto di tenere sempre un occhio puntato su di me. Gli ho mostrato i provini degli attori più giovani, gli ho dato la sceneggiatura e lo ho invitato alla visione di un pre-montato. Quello che ci siamo detti, però, vorrei tenerlo per me. Posso dirti che Ettore è stato molto presente.

Rolando Ravello, da serial killer a pater familias

Ok, allora torniamo al set: quanto ci si sente sicuri quando hai Marco Giallini al tuo fianco?
Marco è un attore che ha due palle così. Siamo amici da venticinque anni: ho fatto con lui il primo spettacolo della mia vita. Da una parte è una costante presenza solare sul set. Dall'altra è un alleato prezioso che con il suo talento riesce ad avere degli spunti fantastici. Partendo dalla base della sceneggiatura lui ti incanta con un'invenzione improvvisa. E' un attore creativo che continua sempre a stupirmi, nonostante io lo conosca bene anche nel privato.

Abbiamo parlato di incubi da regista. Una volta finito il film come hai vissuto il momento in cui lo hai “dato in pasto” a pubblico e critica?
E' stata la cosa più difficile. Non ero pronto, nonostante come attore lo avessi già vissuto. Da regista è diverso: senti che le persone vivisezionano il film, lo criticano e lo giudicano. Ti senti scoperto: io già vivo con "la pelle di fuori", e in quel momento mi sentivo nudo davanti a tutti. I miei amici registi mi dicono che devo farci l'abitudine, che devo “vaccinarmi”. La verità è che non so neanche quanto voglia farlo. Ho fatto una fatica enorme nella mia vita a togliermi le corazze e le difese di cui ero pieno. Non sono riuscito a togliermele tutte, non mi va di rivestirmi un'altra volta.

Inevitabile chiederti di persone come Sordi o Carotenuto che hai conosciuto sui set di Scola...
Sono i regali che mi ha fatto Ettore. Grazie a lui ho conosciuto un mondo del cinema che adesso non c'è più. Non solo gli attori, ma anche produttori come Franco Committeri che progettava tutto il film a mano: aveva dei quadernoni dove segnava ogni entrata e uscita economica. Si ha sempre la sensazione di convivere con queste persone, anche se sono scomparse.

Rolando Ravello, da serial killer a pater familias

E con loro è scomparso anche la qualità del nostro cinema?
No. Non con loro. Il problema è il lavoro che è stato fatto in Italia per uccidere la cultura, che viene ad oggi considerata un optional. Mi spaventa che tutti abbiamo cercato di inseguire il gusto del pubblico, anche lì è diventato un tutti contro tutti: fai una commedia che funziona e te ne ritrovi dieci uguali. E adesso il pubblico pian piano si è disaffezionato alle commedie. Del resto un solo genere  non è sufficiente a sostenere una intera cinematografia. E questo è un meccanismo solo nostro. Lo facciamo solo in Italia. E' una cosa frustrante.

Chiudiamo con la nostra domanda di battaglia: torniamo al poster con cui abbiamo aperto. Qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?

Avevo il poster di Betty Blue, il film tratto da un libro che amo tantissimo. Una volta avevo perso il libro e ho fatto le fotocopie per farlo rilegare. Quel film è bellissimo e ha una bellissima colonna sonora.

Tutti contro tutti è attualmente in sala distribuito da Warner Bros.