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Ricordando la divina Garbo

A vent'anni dalla scomparsa il mito di Greta Garbo vive intatto nella memoria di un pubblico che l'amò più di Hollywood.

Greta Garbo

15.04.2010 - Autore: Ludovica Sanfelice
Federico Fellini parlava di lei come di una fata severa, della austera fondatrice di un ordine religioso chiamato cinema. Era schiva Greta Garbo e se sul set ammaliava con il suo sguardo profondamente vivo e provocante, fuori dagli studi nascondeva gli occhi dietro grandi lenti scure e si copriva il capo con dei cappelloni per fuggire all’ingombrante immagine che le avevano cucito per lo schermo. Soffrì sempre le dimensioni ristrette della gabbia dorata che Hollywood le costruì inquadrandola nel ruolo della peccatrice redenta, della dark lady con ruoli di spia, manipolatrice, moglie fedifraga, cortigiana, prostituta, aristocratica e assassina.

Avrebbe voluto essere più libera di esprimersi in quest’arte, ma agli Studios lei piaceva e non piaceva, era troppo sfuggente, ambigua, fredda, misteriosa, poco rassicurante, molto capricciosa, eccessivamente mascolina nel vestirsi, emancipata in modo fastidioso. Anche i pettegolezzi sui suoi orientamenti sessuali e l’ostinato rifiuto di sposarsi erano una rogna da quelle parti. Eppure il pubblico la bramava, voleva solo lei che si negava e così facendo alimentava il desiderio e la leggenda che la consegnarono alla storia come la Divina Garbo. Interviste no grazie, fotografie non sia mai… La Garbo pretendeva anzi di corazzare i suoi set con dei teloni neri che la nascondessero agli sguardi indiscreti e ladri di curiosi e paparazzi. Era ironica e tagliente eppure sullo schermo rise una volta sola nel suo film più bello, “Ninotchka” (1939) di Ernst Lubitsch, l’unico regista che intuì le sue doti di interprete brillante.

Superò le privazioni di un’infanzia modesta in Svezia, i dolori di perdite premature, conquistò l’America e il mondo e sopravvisse all’avvento del cinema sonoro. Ad arrestarla fu, incredibilmente, il suo unico insuccesso, “Non tradirmi con me”, film di George Cukor del 1941 in cui la Garbo interpretava due personaggi: una moglie tradita e la sua gemella libertina inventata per salvare il rapporto con il marito. La pellicola fu un fiasco e venne perseguitata dalle accuse di immoralità scatenate dall’arcivescovo di New York. La Garbo, forse stufa, decise allora di ritirarsi dalle scene e si rifugiò a vita privata a soli 36 anni. Hollywood cercò di recuperare ai torti inflitti a quella che ancora oggi è considerata la più grande attrice dei primi 50 della storia del cinema e le offrì il riconoscimento tardivo di un Oscar alla carriera nel 1954. Ma lei rispose facendo spallucce e non si presentò alla cerimonia.

Morì sola il 15 aprile del 1990. Sola, anche se -lo precisò- quello che voleva era solo essere lasciata in pace. Qualcosa di ben diverso. Sono passati vent’anni da quella data, quasi sessanta dalla sua ultima apparizione sul grande schermo, ottantasei dalla sua nascita e ne passeranno ancora cento e mille ma il suo ricordo immortale manterrà per sempre intatti il carisma e lo sguardo della più Divina delle star.