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Pane e coraggio: chi sono le registe del nostro cinema

Fanno film risoluti senza paura di allontanare il grande pubblico. Dietro la macchina da presa, le donne sono custodi di storie “diverse” 

Laura Morante - Assolo

11.01.2016 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Parliamo pure di quote rosa, termine abusato, odiato, guardato con sospetto. Ma non per indicare una specie fragile, in via di estinzione, che ha bisogno di tutele calate dall’alto pur di non scomparire definitivamente. L’espressione può invece essere utile per raccontare l’originalità delle registe italiane piuttosto che la loro debolezza. Avranno pure diretto il 16,7% dei film girati dal 2002 al 2013, come riporta l’Osservatorio dell’audiovisivo del Consiglio d’Europa, però il loro tocco, garbato, sperimentale, originale, si è distinto nel 2015 per dare spazio a storie coraggiose per temi e personaggi, sguardo e prospettiva.

Laura Morante, Maria Sole Tognazzi, Laura Bispuri e Giorgia Farina, non sono di certo professioniste inclini alle mode della cultura dominante, ma pioniere capaci di scovare il piccolo, l’invisibile, anche se poi il botteghino non è sempre indulgente con i loro figli in pellicola. L’ultima ad arrivare nelle sale in ordine cronologico è proprio la Morante, che con Assolo sta facendo abbastanza bene in sala (circa 1 milione di euro secondo i dati dell’ultimo weekend), considerando anche l’occupazione coatta delle sale avvenuta con il fenomeno Zalone. Però, se la storia di Assolo, quella di una cinquantenne affetta da dipendenze affettive e manie ha un suo peso, è perché le donne dietro la macchina da presa hanno deciso di trattare l’inferiorità numerica come opportunità votata al rischio.

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Se il palcoscenico principale è troppo affollato da uomini e da stereotipi abusati – sembrano dire i loro film - le registe vanno in scena in strada, contando sul passaparola, o sul circuito dei festival d’autore. E le loro storie sono costruite intorno a temi e vicende audaci che insieme alle loro protagoniste, lottano per conquistare un mercato, quello cinematografico e culturale, dove spesso c’è un’omogeneità asfissiante di caratteri soprattutto femminili.

C’è riuscita la Morante, che ha portato i turbamenti di una over ’50 single, al centro di una pellicola lieve, ironica ed educata. Lo ha fatto Maria Sole Tognazzi, che da regista ha raccontato una delle pochissime storie di amore lesbico del nostro cinema. In Io e lei peraltro, la narrazione è portata avanti usando due icone tradizionali del cinema tricolore come Margherita Buy e Sabrina Ferilli. Quindi doppia sfida e doppia difficoltà di mutamento dell'immaginario dello spettatore. Un’altra regista che si è concessa l’ardore di prendere una sex symbol come l’attrice Micaela Ramazzotti, e incattivirla, rendendola poi sfortunata e perdente, è la regista romana Giorgia Farina in Ho ucciso Napoleone.

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Una commedia – non premiata dai risultati al box office - su una donna manager improvvisamente costretta a cambiare i propri piani professionali. Interessante anche il lavoro di Laura Bispuri in Vergine Giurata, un film che nello scorso anno ha sorpreso pubblico e critica con il racconto di una femminilità negata per motivi ideologici, geografici e sociali. Anche qui gli incassi sono stati piuttosto bassi, ma la pellicola ha raccolto il plauso della critica, compiendo lunghi viaggi nei festival nazionali e internazionali. Certo, in tutti questi casi il botteghino – tranne per Assolo – non è esploso sotto il peso della curiosità del pubblico. Ma del resto parliamo di film che trattano argomenti raffinati e non sempre capaci di raggiungere tutti e tutto. E forse non temere di non riuscire a compiacere il pubblico, ma magari portarlo dove non si aspetterebbe di poter andare, è una caratteristica che sembra aggiungere valore al cinema delle registe italiane.