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Operazione Valchiria: due chiacchiere col regista

Abbiamo intervistato Bryan Singer, già regista de "I soliti sospetti", dei primi due "X-Men" e del poco fortunato "Superman Returns". Ci ha parlato della sua passione per la 2° Guerra Mondiale... e per Steven Spielberg.

Il giorno delle Valchirie IMG3

29.01.2009 - Autore: Pierpaolo Festa
Se sperate in uno di quei film in cui Tom Cruise arriva in sella ad una moto, con giubbotto all’ultima moda e occhiali da sole costosissimi, e fa secchi i cattivi con acrobazie che lasciano a bocca aperta…  allora “Operazione Valchiria” non verrà incontro ai vostri desideri. Il film è bensì un gran thriller che cerca di essere il più fedele possibile ai fatti accaduti. A condurci nelle stanze del potere della Germania di Hitler è proprio Bryan Singer, tornato dietro la macchina da presa dopo il semi-fiasco di “Superman Returns”.

Classe 1965, Singer ebbe il suo grande breakthrough a soli 27 anni con “I soliti sospetti”, il film che rilanciò il genere noir nei cinema e con il quale si guadagnò un post da enfant prodige a Hollywood. “Operazione Valchiria” è il suo settimo lungometraggio e non rappresenta di certo il suo primo viaggio nel mondo del male nazista del XX secolo. In realtà ci aveva già conquistati con “L’allievo”, tratto da Stephen King e con “X-Men” in cui aveva deciso di inserire una parentesi nazista come nucleo centrale della storia (il cattivo del film Magneto, era un ebreo deportato nei campi di concentramento). “Questo periodo mi ha sempre affascinato – ci confessa Singer - Da piccolo avevo due amici, due bambini tedeschi, miei vicini di casa e con i quali passavo molto tempo, John e Angelique. Io sono ebreo, loro tedeschi, ed io sono sempre stato molto consapevole di che cosa fosse stato l’Olocausto però allo stesso tempo sono sempre stato molto attratto da questa estetica creata da Adolf Hitler durante la sua dittatura. Inoltre a scuola la nostra insegnante ci aveva fatto studiare in maniera molto approfondita la storia dell’Olocausto, quindi credo che tutti questi fattori messi insieme - aggiungendo anche che ho letto il libro di Steven King “L’allievo” a 17 anni  e che mi lasciò molto colpito- abbiano portato a questo mio personale grande interesse per quel periodo storico”.

A quel punto il regista ci racconta un aneddoto indimenticabile… quasi fosse la storia di un supereroe, la sua Origin Story. “Quando ero piccolo realizzavo dei filmati come hobby. Avevo una piccola telecamera, facevo degli 8mm, e questo è andato avanti fino a quando avevo circa 16 anni. E poi una sera stavo guardando la televisione e ho visto un programma che si chiama twenty/twenty dove passavano un profilo di Steven Spielberg, raccontavano la sua storia. Era il 1982, l’epoca dell’uscita di “E.T.”. Ho scoperto che Spielberg era ebreo come me, e che anche lui ha cominciato girando con una 8mm come me. Inoltre non era molto bravo a scuola come me, e quindi ho preso coscienza, in quel momento, che quello che avrei voluto fare nella vita era il regista. E lo volevo fare a livello professionale, volevo fare il cinema. E volevo fare dei grandi film per raggiungere un grande pubblico. Per questo motivo poi nella mia carriera ho cercato sempre di tenere una mia autorialità all’interno di generi come la fantascienza, il fantasy, e un film come Operazione Valchiria, un film storico ma che può raggiungere un pubblico molto, molto ampio. Questo vale anche per I soliti sospetti che è uscito come un film indipendente ma io ho sempre sperato che lo potessero vedere più gente possibile. Quindi di una cosa sono sicuro: sto facendo i film che sognavo di realizzare”.

A proposito di “Operazione Valchiria”, il regista aggiunge: “Ho voluto realizzare questo film con un impianto piuttosto classico proprio perché la vicenda è talmente importante e, soprattutto, è vera. I personaggi non dovevano mai sovrastare la storia. Per me si tratta di un thriller: ci sono suspense e tensione, nonostante sappiamo a priori l’esito negativo del complotto”. Secondo Singer c’è una connessione tra questo suo film e i quelli che ha realizzato in passato: “Questo è un film corale. Avevo già fatto “I soliti sospetti” e “X-Men” e dunque mi sentivo a mio agio nel dirigere una storia corale.  Però effettivamente, in questa storia il personaggio centrale è piuttosto solo. Stauffenberg era proprio così, perché non poteva rivelare la sua vera identità, i suoi  veri sentimenti, le sue vere intenzioni, nemmeno alla sua famiglia!  Mi ha catturato subito questa storia, quella di un uomo che indossava un’uniforme nazista anche se era lì con l’unico obiettivo di uccidere il Führer”.