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È morto Remo Remotti

Emblema di una romanità ormai perduta, rappresentate popolare e disincantato di un mondo lontano da tante ipocrisie moderne

22.06.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Francis Ford Coppola e Peter Ustinov, ma anche Marco Bellocchio, Ettore Scola, i fratelli Taviani, Nanni Loy, Maurizio Nichetti, Carlo Mazzacurati, Carlo Verdone e soprattutto Nanni Moretti: sono alcuni dei nomi con i quali aveva lavorato Remo Remotti, morto domenica 21 giugno presso il Policlinico Gemelli di Roma all'età di 90 anni.

Era stato ricoverato nella struttura ospedaliera della Capitale il 18 giugno scorso, "a causa di una grave malattia ematologica, che ne ha determinato la morte", come da comunicato dell'Ospedale. Sono stati gli ultimi giorni di un artista poliedrico, uno dei simboli della sua Roma, abbandonata (nel 1951, per trasferirsi in America Latina) e poi ritrovata, ma sempre amata, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Tassista in Perù, operaio in Germania, funzionario di una ditta farmaceutica a Milano, e poi pittore (sue opere sono presenti alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma), attore, poeta, scrittore, umorista, scultore, cantante e drammaturgo: una personalità come quella del grande artista romano non si potrebbe chiudere in una definizione. Più facile ritrovarla e ricordarlo nei film di Moretti (era psicanalista in Sogni d'oro) e nel Padrino parte III di Coppola, come anche nei tanti film italiani che lo vollero in scena, al pari dei tanti teatri soprattutto romani, dall'Alberico all'Orologio.

La sua ultima apparizione al cinema era stata in Viva l'Italia (2012), opera seconda di Massimiliano Bruno. Ma per i suoi novant'anni la galleria De Crescenzo e Viesti di Roma aveva organizzato la mostra Ho rubato la marmellata a lui dedicata. Sposato due volte - e con due donne di nome Luisa - lascia la figlia nata quando aveva 64 anni e un vuoto profondo nella storia culturale e nella tradizione romana, prima ancora che nazionale.