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Monicelli: se ne va la nostra ultima rockstar

Il Maestro della commedia all'italiana si è suicidato a Roma a 95 anni. Una vita interamente spesa a fare grande il nostro cinema

Mario Monicelli

30.11.2010 - Autore: Federica Aliano
In Italia abbiamo avuto pochissime vere rockstar, quelle persone in grado di muovere il consenso di intere masse e che, costi quel che costi, mantengono uno stile di vita assolutamente sopra le righe, non negandosi viaggi e piaceri vari, godendosi un’esistenza piena e senza rimpianti. Se c’è qualcuno che ha incarnato questa way of living è stato senza dubbio il Maestro Mario Monicelli, il massimo esponente della commedia all’italiana che la ha idealmente aperta e chiusa (“I soliti ignoti” e “Un borghese piccolo piccolo” vengono da molti considerati l’inizio e la fine di questo genere, storicamente parlando), che ha vantato innumerevoli tentativi di imitazione, tutti falliti miseramente, è ovvio. Perché lo storico e filosofo Monicelli infondeva il suo essere rockstar in ogni cosa che faceva, ecco perché quella magia è sempre stata irripetibile. Rockstar lo si è dentro, si può cercare di diventarlo, ma se non arde il giusto fuoco, c’è poco da fare.

Mario Monicelli

Monicelli era rockstar nell’animo, instancabile e sempre pronto a stare in mezzo ai giovani che lo ammiravano e avevano voglia di ascoltarlo. E solo di fronte a una rockstar i ragazzi sono così in adorazione. “Non state mai fermi, fate qualcosa, fate casino, fatevi sentire”, aveva detto lo scorso giugno agli studenti di Bologna accorsi per vederlo al Biografilm Festival. Sempre diretto, mai mite, mai diplomatico, costantemente sobillatore. Quella è stata l’ultima occasione che chi scrive ha avuto di vederlo. Era una certezza, il Maestro Monicelli: alla Mostra di Venezia in qualche modo c’era sempre, e saliva le scale del Casinò tutti i giorni perché “Gli ascensori sono per i vecchi!”, come ci ha risposto una volta, quando lo invitammo a usarlo. Viveva solo, a Roma, nel quartiere Monti, sua seconda patria dopo Viareggio, che pure gli ha fornito l’impronta tipica della sua comicità e del suo modo di raccontare. Solo, “Perché la donna è infermiera nell’animo, se vive con un vecchio è sempre pronta a portargli ciò di cui ha bisogno. Così il vecchio sta sempre in poltrona [...], se vive da solo, campa dieci anni di più”.
Ma di donne ne ha avute, il rocker del nostro cinema: l’ultima, Chiara Rapaccini, ha quarant’anni meno di lui e gli ha dato la sua terza, bellissima figlia Rosa. Eppure Monicelli se ne stava per conto suo, senza figli e nipoti intorno, a proseguire la sua lunga vita.

Mario Monicelli

C’è sempre stato, come Andreotti, per noi nati negli anni Settanta sembravano entrambi immortali: due facce eterne e contrapposte, due esponenti della cultura in modi e con conclusioni estremamente diverse. E se uno è il Divo, l’altro è quello che ha l’amore del pubblico.
Potremmo star qui a elencare tutti i suoi film, giacché mai si era fermato e fino a quest’anno ha diretto (il corto “La nuova armata Brancaleone”), potremmo parlare de “Il marchese del Grillo”, del bellissimo “Risate di gioia”, del dissacrante “Amici miei”. Invece preferiamo pensare a Mario Monicelli come uomo, come colui che aveva sempre detto di non temere la morte, ma il giorno in cui non sarebbe più stato in grado di lavorare perché “Mi annoierei moltissimo”. Colui che disse di aver compreso il gesto di suo padre Tommaso, giornalista e scrittore antifascista da cui ha appreso molto, morto anche lui suicida nel 1946.
“La vita non è sempre degna di essere vissuta: se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena”, aveva dichiarato Monicelli ricordandolo.
E se n’è andato così, a modo suo, senza compromessi, quando ha pensato che la vita gli aveva dato tutto ciò che in vita ha desiderato. Ora manca solo “un funeralone da fargli pigliare un colpo a tutt'e a quelli: e migliaia di persone, tutte a piangere e corone, telegrammi, bande, bandiere, puttane, militari...”

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