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Mission Impossible III

Torna l'agente Ethan Hunt nel terzo episodio della serie M:I. A dirigere Tom Cruise c'è il regista 'televisivo' J.J. Abrams che crea un puro e perfetto gioiello di action-thriller usando un nuovo linguaggio cinematografico

Mission Impossible 3

19.05.2009 - Autore: L.G.
Nel 1996 l’agente Ethan Hunt sfidava la forza di gravità appeso a dei fili di acciaio diretto da Brain De Palma (M:I: I), nel 2000 in M:I: II scalava una montagna rocciosa grazie alla sua forza fisica ripreso da  John Woo, oggi Hunt, inseguito anche dal regista J.J. Abrams, salta da un palazzo all’altro di Shanghai per salvare sua moglie.

L’agente Hunt (Tom Cruise) ormai stanco delle missioni e sulla via del ritiro, è costretto a combattere contro il potente e feroce trafficante d’armi Owen Davian (il magnifico Philip Seymour Hoffman) perché oltre ad essere una minaccia per l’umanità vuole uccidere sua moglie Julia (Michelle Monaghan)t. Ad aiutare l’agente speciale nella sua missione tra Berlino, Stati Uniti, Roma e Shanghai, la solita squadra composta da il fido Luther Stickell (Ving Rhames), il giovane Declan (Jonathan Rhys Meyers), e la bellissima Zhen (Maggie Q).

Ne vien fuori un blockbuster reale, umano, diretto, con poche scene 'impossibili' e con una storia d’amore sullo sfondo che poteva essere anche un’arma a doppio taglio per la produzione, invece J.J Abrams, reduce dal grandissimo successo di “Alias” e “Lost”, ma al suo primo lungometraggio, ha creato un puro gioiello di action-thriller partendo da una semplice teoria: stare il più possibili vicini all’azione dell’agente Hunt umanizzandolo e rendendolo vulnerabile.

Così in Mission Impossible III  la macchina da presa di Abrams sta sempre incollata a Tom Cruise. Non lo lascia mai. Tutte le scene d’azione sono girate con dei campi medi per rendere tutto più realistico e allo stesso tempo più soffocante.

Il risultato è un film avvincente, mai esagerato e girato in maniera pazzesca. J.J Abrams si è servito del processo di previsualizzazione, tecnica che facilita le riprese sul set, in quanto ogni reparto ha già visto sul computer come ogni singola inquadratura deve essere supportata. La scena sul ponte è la sintesi del lavoro di Abrams e dalla sua troupe. Tutto è studiato alla perfezione, dai movimenti delle macchine colpite dai missili a i pezzi del ponte che cadono in mare. Perfetto J.J..

Certo mancano un po’ i tocchi poetici di De Palma o lo stile imperiale di Jonh Woo, ma il linguaggio di Abrams sembra perfetto per un prodotto che deve si intrattenere, ma allo stesso tempo coinvolgere lo spettatore con enfasi, humor e pathos.