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Milk - La nostra recensione

Gus Van Sant dirige con mano sicura e molto attenta ai particolari un lungometraggio ottimamente raccontato. E Sean Penn sfoggia una padronanza della sua figura che rimane lontana dalla caricatura pur mantenendo il suo ormai proverbiale istrionismo.

Milk

16.01.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Scorgendo a ritroso la carriera di Gus Van Sant, uno dei registi più importanti dell’odierno panorama cinematografico internazionale, ci si accorge abbastanza facilmente che questo suo ultimo “Milk” (id., 2008) è il suo terzo film realmente mainstream, cioè realizzato per essere appositamente destinato ad un pubblico il più vasto possibile. Per primo è arrivato il suo lavoro di maggior successo, il bellissimo “Will Hunting – Genio ribelle” (Good Will Hunting, 1997), che lo ha portato addirittura vicino all’Oscar; successivamente è toccato a Sean Connery ed al discontinuo ma comunque affascinante “Scoprendo Forrester” (Finding Forrester, 2000).

Nel portare al cinema la storia di Harvey Milk, il primo gay dichiarato ad essere eletto per una carica pubblica – precisamente come consigliere comunale nella San Francisco di fine anni ’70 – il regista di Portland ha scelto un impianto sia narrativo che estetico prettamente classico, che inquadrasse e raccontasse l’ascesa del personaggio secondo i canoni della parabola più esplicita. Il risultato è un lungometraggio sicuramente solido nella sua struttura, ottimamente raccontato e diretto con mano solida e molto attenta ai particolari . Le interpretazioni degli attori principali poi sono tutte praticamente perfette, con in testa il protagonista Sean Penn che sfoggia una padronanza della sua figura che rimane sempre lontana dalla caricatura pur mantenendo il suo ormai proverbiale istrionismo.

Se “Milk” è dunque una pellicola solida, ottimamente confezionata e realizzata secondo un’idea di cinema ben precisa, queste coordinate però in questo caso potrebbero rappresentare in un ceto senso anche dei difetti. Già, perché a dirigere il film  non è il mestierante qualunque, ma Gus Van Sant, un autore che nei suoi capolavori precedenti ha dimostrato un talento visivo straordinario e la capacità di sorprendere continuamente lo spettatore con un’idea di cinema innovativa, spiazzante, anche ardua magari, ma sempre personalissima. Pensiamo a film incredibili come “Gerry” (id., 2002), “Elephant” (id., 2003) o “Last Days” (id., 2005). Ma anche andando a pescare nel suo cinema più commerciale, ci sembra che pure “Will Hunting” cercava delle soluzioni visive più personali di quanto non abbia fatto con questo suo ultimo lavoro.

Paradosso difficile da sciogliere: alla fine questo “Milk” spiazza proprio per essere un film costruito in maniera così lineare. Van Sant dimostra ancora una volta di non avere nessun problema a muoversi in qualsiasi tipo di produzione, orientata verso ogni tipo di spettatore. Da lui però forse ci saremmo aspettati un tocco più personale anche in una produzione così classica.

Milk” rimane quindi un ottimo lavoro, ma non la solita, emozionante prova d’autore a cui Gus Van Sant ultimamente ci aveva abituato.

 

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