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Milk - Intervista a Gus Van Sant

Il regista di "Belli e dannati" e "Good Will Hunting" ci ha parlato della percezione di Harvey Milk nell'America di oggi e di come Sean Penn abbia dato vita a questo grande ruolo.

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22.01.2009 - Autore: Pierpaolo Festa
Per cominciare vorrei dirvi questo: Sean Penn è un combattivo. E’ un personaggio magnifico nella realtà e riesce a mettere la stessa forza anche nei personaggi che interpreta. Penso che questa forza derivi dal coraggio che ha nella vita vera” – così dice Gus Van Sant che siede davanti a noi per parlarci di “Milk”.

Siamo abituati a vedere Sean Penn in ruoli da duro. Non lo vediamo mai ridere, ad esempio. Questa volta lo ritroviamo in un ruolo decisamente inedito. Come è andata con Sean sul set?
Sì, è vero. Sean incarna questa figura del macho, ma era ugualmente molto interessato a rappresentare questo personaggio e questo ruolo. Non sono stato io, Sean ha fatto da solo la maggior parte del lavoro. Aveva le idee ben chiare sul personaggio: aveva studiato tanto. Il mio contributo è stato limitato.

Come mai, dopo una serie di film più sperimentali si è dato da fare con un biopic di grandi dimensioni?

Veramente, ero coinvolto in questo progetto sin dal 1992. Però sapete bene che non sempre i film vengono girati nei tempi previsti: all’epoca non c’era nemmeno uno script. Una cosa del genere mi è successa anche con “Last Days”, volevo farlo nel 1995 e poi sono riuscito a realizzarlo dieci anni dopo, abbiamo avuto tanti problemi di finanziamenti.

Prima del suo film qual era la percezione di Harvey Milk in America?
Penso che nel corso degli anni il ricordo dell’eredità di Harvey sia stato dimenticato. Come consigliere comunale si sa poco su di lui. Perfino i gay lo hanno dimenticato. Tutto quello che si sa di questa storia è che il suo assassino si appellò citando infermità mentale dovuta ad abusi di sostanze zuccherose (questa cosa è conosciuta in America come “Twinkie Defense”).

“Milk” è un film molto diverso dalle sue opere precedenti. Lei cosa ne pensa?

Che questo è un film più tradizionale rispetto ad altri miei lavori. La sceneggiatura già imponeva di fare un film di questo tipo e quindi la storia viene raccontata in maniera lineare. E comunque lo stile più rivoluzionario che mi sembrava giusto adottare per raccontare la vita di un gay era proprio uno stile classico, misurato, per dare spazio alla storia e a tutto quello che di straordinario e importante lui ha fatto e mettere l’etica prima dell’estetica. Io non volevo che fosse considerato un eroe ma un grande uomo, attento ai diritti di tutti gli esseri umani. Comunque non penso assolutamente di avere rinunciato al mio personale modo di girare.

A proposito di sceneggiatura: il vostro film ha battuto sul tempo l’altro progetto in cantiere di Bryan Singer che aveva già scritto il copione di “The Mayor of Castro Street”, sempre incentrato su Harvey Milk…
Lance, lo sceneggiatore del film, e Bryan sono molto amici. Lance ha cominciato a scriverlo nel 2004 e Bryan l’anno successivo. Ma il fatto è che durante la fase di scrittura i due si incontravano in un caffè. E Bryan lo incoraggiava. Non c’è stata alcuna rivalità. Anzi sono davvero buoni amici.

Per saperne di più su Milk:
Leggete l'intervista a James Franco
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