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La via del fumettista secondo Roberto Recchioni

Intervista esclusiva all'autore di Asso, tra cinema, fumetto, web e i figli bastardi del post-moderno

Asso

06.12.2012 - Autore: Marco Triolo
Se John Milius è l'anarchista zen del cinema americano, Roberto Recchioni è il samurai filosofo del fumetto italiano. Un paragone che a lui, ne siamo sicuri, piacerebbe tantissimo, visto che tra le tante cose di cui parliamo nella nostra intervista, ci confessa anche di essere un enorme fan “di Sam Peckinpah, Walter Hill e tutti i rinnegati del cinema americano anni Settanta”. La nostra è una lunga chiacchierata tra fumetto, cinema, web series, tra post-modernismo e cultura geek, alla ricerca di un significato in questo vespaio multi-mediale che punta all'imbastardimento selvaggio tra alto e basso e tra mezzi di comunicazione.

Esempio lampante e pretesto per questa intervista: il lancio in formato trailer del nuovo volume di Recchioni, Asso, pubblicato dalla Nicola Pesce Editore. Nel trailer, l'autore interpreta il suo alter-ego su carta, tra strizzate d'occhio alla cultura pop della generazione '70/'80 e omaggi a cinema, fumetti e serie animate. Ve lo proponiamo qui sotto, seguito dall'intervista.



Da dove nasce l'idea del trailer live action?
L'idea viene da Giovanni Bufalini, che insegna alla scuola romana di fotografia e cinema. Io non amo molto i book trailer perché di solito sono fatti piuttosto male, perciò lo abbiamo pensato come un micro-corto per il web. Poi è un periodo particolarmente interessante per questo tipo di produzioni per il web: stanno uscendo parecchie web series anche in Italia e alcune sono fatte molto bene. Io ho preparato la sceneggiatura e gli storyboard, Giovanni ci ha messo la sua competenza e ha portato tutta la sua troupe per girare. Per quanto riguarda i riferimenti cinematografici, ti posso citare i colori saturi di Tony Scott, il suo uso del fumo e dei tagli di luce.

Dal trailer è chiaro che io e te abbiamo gli stessi riferimenti, essendo parte della stessa generazione. Una generazione che pare non voler mai crescere: sei d'accordo?
Non so se non siamo mai cresciuti. Io penso che siamo una generazione interessante, perché siamo la prima, quella dei nati tra il Settanta e l'Ottanta, cresciuta dopo che la televisione e l'intrattenimento erano entrati davvero nelle case di tutti. Siamo una generazione che tende a dare estremo risalto e importanza a cose che le generazioni precedenti non avevano proprio. Mi angoscia di più il fenomeno per cui i ragazzi di oggi diventano nostalgici della “nostra” roba, quindi la moda hipster che si appropria di tutte le icone degli anni Ottanta. In questi trent'anni non è arrivato niente abbastanza di valore da influenzare le generazioni nuove: Guerre Stellari continua a essere un riferimento culturale fortissimo anche per le generazioni attuali, e praticamente niente lo ha scalzato, neanche Il signore degli anelli o Harry Potter.

Il book trailer di Asso non è la tua prima avventura in un medium diverso dal fumetto, perché sei anche autore di un blog (Dalla parte di Asso). Pensi sia importante per un autore di oggi riuscire a muoversi tra vari media?
Io non sono nato nell'era digitale, ma ho comunque speso gran parte della mia vita in questo contesto: sono entrato in possesso della prima console e del mio primo computer intorno ai sette anni. Internet è un elemento eccezionale perché ha cambiato tantissime cose in termini di comunicazione, ma ha anche appianato tutti gli spunti: l'eredità del post-modernismo consente di mettere sullo stesso piano Shakespeare e i Flintstones. Oggi gli autori interessanti, al cinema ma non solo, tendono ad avere pochissime barriere culturali in quello che producono. E l'idea che i prodotti vengano pensati sempre più per tante piattaforme diverse è tanto artistica quanto produttiva. Basta guardare l'ultima serie di Battlestar Galactica, che nasce come web series su Machinima, portale nato intorno ai videogiochi, poi diventerà serie TV e poi film.

Roberto Recchioni intervista esclusiva Asso fumetto - Una vignetta di Asso

Parlando di post-moderno e sdoganamento, oggi la figura dell'appassionato di fumetti è stata categorizzata nel nerd, o nel geek, questo personaggio un po' timido e impacciato. Che ne pensi?
In realtà c'è confusione fra termini: geek e nerd sono due cose diverse. In America, dove il termine è nato, il nerd è il sociopatico con pochi amici, mentre il geek è la persona appassionata di tecnologia e intrattenimento, che può sembrare un po' strana ma che ha una vita sociale assolutamente completa.

Tu ti definisci così o preferisci non definirti in alcun modo?
Beh la definizione è quella, è impossibile non caderci dentro. Guardo serie TV? Sì. Ho speso una parte ingente dei miei soldi tra Blu-Ray, videogiochi e pupazzetti? Sì. Se lo chiedi a J.J. Abrams ti darà la stessa risposta. La generazione dei Settanta è composta in larga parte da geek.

Eppure il tuo alter ego Asso è una sorta di outsider maledetto, di eroe romantico. All'inizio del volume scrivi “La via del fumettista è la morte”: mi pare ci sia sotto un immaginario più forte...
Non esiste un solo piano di lettura. È quella l'eredità del post-modernismo, arrivare a mettere nella stessa tavola Kermit e Nietzsche, a paragonare Bruce Willis ai pensieri di Marco Aurelio. Il libro non è altro che un riflesso di questo: passa da punti “alti”, dove c'è un approfondimento più personale, profondo, “filosofico” di cosa significa essere vivi, a punti in cui si scherza platealmente.

Quali sono i tuoi riferimenti nel mondo del cinema, al di là della tua ovvia passione per Tony Scott?
Sono un vero appassionato di cinema e ne scrivo tanto anche sul blog. Io ho grande passione per i Maverick degli anni Settanta, quindi Sam Peckinpah, Walter Hill e tutti i rinnegati del cinema americano. Mi piacciono le loro derivazioni più bislacche, il primo John Woo che guardava alla Hollywood dei rinnegati. Amo film molto semplici nella struttura, ma potenti nelle immagini. Per me il cinema è prima di tutto narrazione per immagini in movimento, quindi nonostante faccia lo sceneggiatore ritengo che un film con una buona regia sia meglio di uno con una cattiva regia e una buona sceneggiatura. Per me gli esteti come Michael Mann sono IL cinema, l'espressione più pura di quello che dovrebbe essere la macchina cinematografica.

Roberto Recchioni intervista esclusiva Asso fumetto - Una vignetta di Asso

Cosa ne pensi della migrazione di talenti dal fumetto al cinema? Mi viene in mente Frank Miller...
La migrazione di Miller è una barzelletta. Il primo Sin City è un disastro completo in termini cinematografici, la dimostrazione che quando un medium si mette completamente a servizio di un altro fallisce miseramente. Sin City non è cinema, è una serie di inquadrature fisse in cui si muovono i personaggi, il linguaggio cinematografico è fatto a pezzi, il cinema ne esce umiliato e il fumetto non ne viene esaltato in nessuna maniera. Il Miller successivo, quello di The Spirit, è anche peggio. Viene quasi da pensare che lo abbia fatto a sfregio nei confronti di Will Eisner. Quella è forse la deriva più negativa che i fumetti hanno dato al cinema. Ci sono anche derive estremamente positive, ad esempio Zack Snyder, quando va a interpretare l'opera fumettistica sullo schermo, per quanto sia pieno di difetti e vezzi non si scorda mai che fa cinema.

Abbiamo anche in Italia un esempio di autore di fumetti passato al cinema: Gipi...
Ho visto L'ultimo terrestre e ne ho anche parlato con Gianni, perché siamo abbastanza amici. Secondo me nel film Gianni perde un po' una delle sue qualità principali, cioè la scrittura mai banale. L'ultimo terrestre ha problemi sul piano della scrittura più che della regia, che per un esordio è anzi riuscita.

Vedendo Asso sembra incredibile che tu scriva anche fumetti canonici, come Dylan Dog. Questo è naturalmente più personale, rimanda anche ad Andrea Pazienza. Come riesci a unire queste due anime?
In realtà sono nato come autore indipendente. Ho sempre lavorato parallelamente tra fumetto popolare e non popolare: la mia prima opera più importante è stata John Doe, un fumetto di formato Bonelli che però proponeva un linguaggio parecchio diverso da quello dei loro albi. Poi ho iniziato a lavorare alla Bonelli, dove da una parte mi sono iscritto nella tradizione della casa editrice che rispetto, ma dall'altra ho sentito la necessità di rinnovare, quindi nessun mio albo è esattamente canonico. Non a caso il prossimo anno uscirà una mia miniserie che si chiamerà Orfani e che sarà la prima a colori della Bonelli. Asso è un divertimento che mi ha permesso di sfogarmi su toni più autoriali, ma anche di scherzare un sacco.

L'ultima domanda è il nostro cavallo di battaglia: quale poster avevi in camera da ragazzo?
Avevo, e l'ho tolto relativamente da poco, un poster de Il mucchio selvaggio. E temo il poster di Madonna sulla copertina di Like a Virgin.
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