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La Cinepresa fa tendenza

Imperversa a Hollywood il desiderio di avventurarsi nel mondo della regia

Ocean's Eleven

14.04.2003 - Autore: Claudia Panichi
Sta dilagando a vista d’occhio tra i divi d’oltreoceano il desiderio di cimentarsi in nuove esperienze che possano renderli artefici di progetti cinematografici, veri ed indiscussi demiurghi di una loro creatura. Attori affermati, molti dei quali già in possesso dell’agognata statuetta, simbolo per eccellenza del trionfo nel mondo del cinema, della conquista cioè della massima celebrità e successo, sembrano non accontentarsi di quel traguardo, di non sentirsi arrivati solo perché “nella notte delle stelle” sono stati i protagonisti e i vincitori. E’ troppa la tentazione di passare al di là della macchina da presa, di proporsi come registi sfidando sé stessi e scommettendo sulle proprie qualità, lanciandosi in un salto nel buio, che però può rivelarsi una nuova carta vincente. Già Robert Redford inaugurò questa tendenza, scommettendo sulle sue abilità dietro gli obiettivi, e il fiuto gli diede ragione, consacrandolo nella regia ne “L’uomo che sussurrava ai cavalli”. Come poi non citare il grande Woody Allen, autore, regista ed interprete dei suoi copioni, veraci creature della sua fervida immaginazione. Ma ultimamente sembra proprio dilagante e in continua crescita la parata di divi decisi a imporsi come registi. E il terreno più fertile dove possano spiccare il volo pare essere il Festival di Toronto, in Canada, dove in questi giorni si stanno schierando numerosi nomi celebri nelle vesti, calata l’immagine da interpreti, di esordienti autori e direttori di un’opera tutta loro. A cominciare da Denzel Washington, il divo premiato lo scorso anno per “Training Day”, che non si è voluto intrappolare nel divismo post-Oscar ma che ha voluto dimostrare che la statuetta non aggiunge alcunchè al suo lavoro, anzi, è di sprone per nuove scommesse. Presenta così “Antwone Fisher”, un film in cui vuole denunciare la società che oggi indica sempre il traguardo dell’affermazione personale più che quella collettiva. Anche lui a Toronto per presentare il suo debutto da autore è Nicolas Cage con “Sonny”, una storia nera e cupa. Reduce dagli applausi di Venezia con “Frida” è Salma Hayek, che qui ha proiettato ai produttori e distributori il suo film da neoregista, una storia di soprusi su un bambino, e pare già abbia concluso accordi per un secondo. Ancora in fase di preparazione è invece il film “Confession of a Dangerous Mind” che segnerà l’entrata del bel George Clooney nel cosmo, qui al Festival per cominciare a tastare il terreno. C’e poi Matt Dillon, che ha preferito rinunciare a ruoli importanti per dirigere, interpretare e scrivere “City of Ghost”, ambientato in Cambogia. Presente in questi giorni alla saga è il grande Dustin Hoffman che, dopo un illustre carriera e una maturità artistica di tutto spessore, ha annunciato che anche lui passerà alla regia con “Personal Injuries”, in cui sarà un avvocato corrotto. E per non bastare, progetti in vista anche per Tom Cruise, contagiato forse dalla febbre da regia, dichiarandosi pronto per un film tutto suo. Sarà questa solo una moda o veramente c’è dietro una ricerca di nuovi stimoli e performances?